BENGALA #164 - TLON MI HA FREGATO 13 EURO
Sono snob: desprezzo De Crescenzo - Stroncature: Tlon - Cazzate: la "sorellanza" di Giammei - Alessandro Curti spacca Milano - Ryan Heshka’s - Dana Wyse
I pugni in viso
«La morte non mi avrà vivo,»
diceva. E rideva,
lo scemo del paese,
battendosi i pugni in viso.
Giorgio Caproni
La settimana scorsa ho avuto un diverbio col mio amico Cristian. Mi accusava di essere snob a pensare che portare la De Crescenzo in piazza a Roma fosse una cazzata.
Lui sosteneva che l’importante oggi è portare gente in piazza, con ogni mezzo. Che anche negli anni ‘70 mica erano tutti ingegneri quelli che trainavano le folle.
No, dissento del tutto.
Il fatto è che sicuramente sono snob, perché nascondersi. Non ho mai creduto nell’uguaglianza degli uomini. Quella è solo biologica, poi ci sono esistenze che fanno la differenza, ci sono quelle che fanno danni e ci sono pure quelle che contano solo per loro stessi.
Non so come fossero gli anni ‘70 ma parto dal presupposto che anche se uno andava solo per fare a botte o per rimorchiare una scopata, c’era pure il desiderio di fare il culo ai potenti, ai padroni. Insomma, rompere le scatole male non faceva.
Oggi non si vuole rovesciare il sistema, ma farne parte. Oggi si vuol prima far parte dell’evento mediatico, poi del potere che lo mette in scena. O meglio si è sempre voluto, ma oggi SI PUO’.
E Questo ha ottenuto Rita.
Oggi credo non abbia più alcun senso manifestare in piazza. Almeno manifestare per un giorno solo. Questo ormai è più uno show mediatico a cui tutti vogliono partecipare ma incide 0 su politici, regnanti, oligarchi. Se le persone volessero farsi sentire oggi dovrebbero occupare le piazze permanentemente, non il sabato pomeriggio o il venerdì. Dovrebbero fermarsi i corrieri, i rider, gli stagisti, la produzione, occupare la borsa, il ministero. Questo tipo di minaccia può aver senso per il contrattare dei popoli coi governi.
Rita De Crescenzo va in piazza solo perché la #politica è un trend sui social che le serve per crescere nell’algoritmo e cavalacare un’onda di visibilità.
Appellarsi a lei per poter portare persone a far casino mi pare una mossa disperata. Mi pare una mossa da boomer che dicono: lei è famosa sui social, facciamole portare LA GENTE, facciamo numero!
Si ma è la gente che ha invaso Roccaraso. Che manco vota nella maggior parte dei casi o che è parte del problema per cui la piazza va in piazza. Assurdo.
Ancora più snob è dire: eh ma lei è come tutti, non dobbiamo avere pregiudizi, deve poter manifestare.
Si si certo come no, infatti Giuseppe Conte la foto assieme non ce l’ha fatta e lei ha dovuto generarne una con l’AI. E dopo quella bella giornata di grande politica Rita fa coppia fissa con Maria Rosaria Boccia e minaccia davvero di entrare in politica.
Non credo che la sua presenza in piazza abbia mobilitato chissà che ma son sicuro ha prodotto un danno. Perché la democrazia è pericolosa, infatti non ce la meritiamo.
Per carità, ognuno vale uno, ma anche basta coi subumani. La De Crescenzo è analfabeta, ma con il sostegno dei suoi migliaia di seguaci potrebbe raccimolare voti ed entrare in parlamento. L’ennesimo colpo al cuore di un organismo morente, lontano dal bene della gente, riserva ormai solo di arrivisti, ladri e pazzoidi. Certo anche La Russa, che non è analfabeta, ce lo siamo trovati ovunque, anche Razzi, insomma ce ne sono casi leggermente paragonabili. Insomma la democrazia è proprio un casino Però porcoddue, se mai nella vita la De crescenzo ottenesse un ruolo istituzionale, io credo che sarebbe un danno per tutti.
Il messaggio che passa è: non importa chi sei, cosa fai, se sei famoso puoi ottenere tutto.
Peggio di così c’è solo il baratro.
Se dobbiamo vivere così preferisco che veniamo commissariati dall’intelligenza artificiale, oppure che diventiamo una colonia tedesca o francese, governati dai loro governi centrali.
Sarà snob, ma era meglio anche il fottuto re a questa merda qui.
La cultura snack è pericolosissima. Ne vuoi un pezzetto come il junk food ma fa male all’organismo.
Ha girato sui social la cover ben fatta di un titolo affascinante, Ipnocrazia. L’autore un misterioso filosofo cinese, il sottotitolo dedicato a Musk e Trump, l’odore di Byung-Chul Han erano un’ottima confezione con cui impacchettare il prodotto.
I libri poi si sa, nessuno li legge ma tutti ne parlano.
Di questo qualcuno parlava e la cover girava.
C’era scritto Tlon e mi pareva strano, perché Tlon fa solo cose di poco valore, sicuramente pochissimo valore culturale. Tlon è come Perimetro per la fotografia: marketing, puttanate.
E niente compro ‘sto libro da 13 euro e dopo poche pagine mi accorgo che è una mezza puttanta. ma non volevo crederci.
Poi esce un pezzo di Profeta su Il Nemico che svela l’arcano. In realtà ci aveva già pensato l’Espresso, intervistando Andrea Colamedici, fondatore di Tlon che aveva ammesso di averlo scritto lui il libro, con l’aiuto di Chat GPT.
Ora, io non so come lo chiamate voi, ma a me pare una truffa.
Tlon rivendica una sorta di esperimento culturale ma intanto ha incassato 13 euro a copia vendendo un libro che si spacciava essere altro.
Il Codacons ha fatto il culo a Chiara Ferragni per molto meno.
Questo è guerrilla marketing, un modo per farsi notare e mi va bene tutto. Ma da quando il marketing lo paga direttamente l’acquirente? Io se avessi saputo cosa c’era dietro il libro non lo avrei comprato.
Colamedici, si vanta dei suoi titoli e dei suoi assegni di ricerca all’università di Foggia, FOGGIA, e dice che voleva “creare una narrazione”. Ottima supercazzola che all’Espresso prendono per “figata” e ci fanno una copertina, ma intanto a me Tlon ha inculato 13 euro.
Ora che è venuto fuori che il libro è fatto con l’AI le vendite di sicuro crolleranno, ma intanto la casa editrice credo ci abbia fatto un bel bottino.
E i giornali, invece di fargli le pulci (ma L’Espresso non è nemmeno il ricordo di sè stesso ormai) abboccano. Chissà come mai non li legge nessuno…

Poi arriva il momento in cui vuoi farti del male.
Lo capisci fin dal titolo che “Parlare fra maschi” è una roba inaffrontabile, ma la curiosità è troppa. Poi fanno fede Einaudi come casa editrice e il cv dell’autore: Alessandro Giammei, professore di letteratura italiana a Yale e autore di svariati libri e saggi. Giammei ha un cv lungo un chilometro con tutte le esperienze accademiche e ha scritto prima su Domani, poi su Il Manifesto. Non è che lo vado a cercare io, è che ovunque c’è scritto grosso come una casa QUESTO È FIGO INSEGNA A YALE.
Insomma, sembra roba seria.
Invece è il niente. Anzi, forse è il male.
Si può sicuramente essere dei grandi docenti di letteratura, si può essere blasonati, ma questo non previene dallo scrivere delle banalità pazzesche.
Per un attimo ho pensato che Einaudi avesse pubblicato il libro proprio nella speranza di scatenare uno shitstorm e puntare sulla viralità, perché non so chi abbia voglia di leggere della “sorellanza tra maschi”. Una stronzata che va così oltre al woke che trova il muro.
Ma diamo parola al professore. Gli assunti sono tipo questo:
«c’è sempre tra di noi (uomini) un qualche filtro un Medium un diaframma come un pallone in mezzo a noi da calciare o una partita da guardare insieme un progetto da realizzare un problema pratico da risolvere non possiamo stare insieme senza essere attivi».
Giammei, ma che maschi frequenti? Ma non è vero. Io ho passato la vita a cazzeggiare con gli amici maschi. Non faccio altro. Forse dovresti uscire con me.
«Noi maschi non chiacchieriamo agiamo non perdiamo tempo a farci le unghie a vicenda e a blaterare tra di noi o peggio su di noi siamo un team siamo un battaglione l'intimità l'ascolto l'empatia le espressioni dialogiche di affetto sono cose da femmine».
Questa poi è una banalità che forse apparteneva al mondo dei nostri nonni. Giammei tu insegni in America, io alle medie in Italia e ti dico una cosa: i ragazzini di oggi non la pensano così. Sono più emancipati, più fluidi, più consapevoli di quanto credi. Non ha niente di concreto un pensiero del genere, è un discorso come quelli che sento al bar, l’opinione di un tizio senza nessun fondamento se non il suo pregiudizio. Poi non so quanto siano contente le femmine che le usiamo come esempio di libertà per farsi le unghie.
«Credo che chi è cresciuto maschio come me in questa sala possa facilmente immedesimarsi alcune delle conversazioni più profonde e intime che ho avuto con altri uomini si sono svolte in macchina sempre con gli occhi sulla strada oppure camminando fianco a fianco rivolti nella stessa direzione oppure guardando insieme magari distrattamente chiacchierando la televisione sempre rivolti nella stessa direzione»
Io no. Io i miei amici e gli uomini in generale, così come le donne, li guardo negli occhi.
«potremmo per esempio tra maschi incontrarci e metterci in cerchio imitando certi collettivi vecchi e nuovi di maschi femministi senza avere nulla di particolare da fare senza un'attività un obiettivo pratico un gioco a colmare il golfo che ci divide potremmo guardarci negli occhi e parlarci ascoltarci condividere».
Si, ma nella pratica, che cavolo vuol dire? Di che stai parlando? Vuoi proporre delle soluzioni reali oppure vaneggi in stile bar?
«Anzi preferirei dire sorelli se il femminismo è storicamente un movimento collettivo è perché si è articolato intorno a un concetto relazionale complicato e intuitivo allo stesso tempo quello della sorellanza per liberarci dall'individualismo egocentrico e conflittuale che il patriarcato ci presenta come un dato di natura potremmo adottare lo stesso concetto quello della sorellanza».
Wow. Perché funzionasse allora le femmine dovrebbero calarsi nella “maschianza”. Se fatto così, da entrambi i lati, questo esperimento catartico, questa supercazzola, avrebbe senso. Giammei, come l’hai scritto è proprio una boiata.
Assolutamente il saggio meno saggio che ho letto quest’anno e un libro inutile al 100%. Sarei curioso di sapere quanti ne avete venduti.
Esce online il micro film pulp di Ryan Henshka, l’artista americano innamorato dello sci fi, portato in Italia da Antonio Colombo. In questo numero non ho tempo per fare una monografia su di lui ma googolate. Ci sono libri suoi in circolazione, fanzine e stampe. Chi può permetterselo si faccia un regalo…
“La mia estetica fin dall'inizio era vintage- ha detto in un’intervista- ero un ragazzo stravagante che cercava immagini di epoche passate. Gli anni Trenta e Quaranta in particolare furono il mio veleno. ADORAVO la vecchia grafica, le illustrazioni, le foto di film, i fumetti dell'età dell'oro, le copertine delle riviste pulp e persino il vecchio design industriale. Ho riflettuto sul perché un ragazzino di Winnipeg negli anni '70 fosse un tale drogato del vintage, e non ho trovato alcuna vera ragione per questo.”
Dana Wyse è un’artista semplice, molto instagrammabile. Geniale il suo lavoro. Dice lei stessa:
Jesus Had A Sister Productions is a fictional pharmaceutical company specializing in quick-fix medicines, dehydrated space food, discount time travel, spy electronics, transistor radios, invisible things, sneaky life hacks, Venus Fly Traps (when available)…and pocket-size weapons for the revolution. Incorporated in 1786 by the artist's great great great grandfather, Jesus Had A Sister Productions has not shuttered its factory doors a single day in over two centuries. Despite the existential winds...
Online ho letto dappertutto: Adolescence non è un capolavoro.
Ma cosa è capolavoro? E poi soprattutto, voi guardate solo capolavori? Io anche un mare di puttanate.
Adolescence non è un capolavoro ma tratta bene un tema, che non sono i maschi incel o il patriarcato, quanto gli adolescenti. Degli esseri viventi di cui gli adulti capiscono poco o niente, forse quasi niente. E lo fa in un modo innovativo: mettendo realmente in discussione noi prima di loro.
Consigliato.
Sono nato a Milano da genitori, nonni e bisnonni milanesi. Cosa è diventata questa città negli ultimi anni lo spiega molto bene il libro L'invenzione di Milano di Lucia Tozzi. Quando ero bambino si parlava di questa città come un posto dove si lavora, sobrio ed elegante, grigio. Fine del discorso, non c’era molto altro da aggiungere. Il tracollo parte da quando questa città comincia a parlarsi addosso, a costruire una narrazione di sé, vendendosi come il posto figo dove succedono tutte le cose fighe, che se non partecipi sei un solo uno sfigato e vivi fuori dal mondo.
Milano è diventata un parco giochi per ricchi e una trappola asfissiante per schiere di giovani provinciali sottopagati che vengono qui per postare su Instagram la loro meravigliosa (leggere: triste e finta) vita da aperitivo e vernissage mentre abitano in alveari di cemento in periferie degradate, con affitti a cifre astronomiche e che lavorano 12 ore al giorno per qualche stronzo che li paga una miseria. Nel frattempo gli altri provinciali rimasti a vivere a Schifopoli sul Mincio, dove l'evento più cool dell'anno è la sagra della scrocchiarella con 4 tamarri tatuati che si accoltellano in piazza, coltivano un odio viscerale verso la metropoli e la guardano con diffidenza. (Che poi forse i tamarri che si accoltellano sono davvero più interessanti della Design Week).
Questa è diventata la città dei Lacerenza e affini, ovvero una banda di disgraziati arricchiti, semi-analfabeti in mocassino senza calze, che sono venuti a giocare a fare i nuovi milanesi, a pippare e a flexare le mazzette di soldi, per aderire al modello della città dove o hai i soldi e frequenti la gente giusta oppure sei un coglione.
Io sono classista e non me ne frega un cazzo di fare finta di non esserlo per opportunità. Questo modello di città mi fa schifo, come mi fa schifo tutta sta gente che ha portato Milano a diventare il circo che è oggi. L’ho vista cambiare anno dopo anno, l’ho vista marcire dalle fondamenta e l’ho sentita allontanarsi sempre di più da quel posto brutto ma sincero che avevo imparato a conoscere da bambino e da ragazzo. E da milanese questa cosa mi fa male il doppio.
Oltre a essere diventata la parodoia di se stessa, Milano ha smesso di offrire qualsivoglia contributo artistico e creativo di senso. Tutto è costruito sulle Week, per cui qualcosa nasce, si consuma e muore nel giro di sette giorni. Non ci sono spazi per la sperimentazione e per il confronto creativo, quindi non nasce più niente di interessante. Agli eventi gira sempre la stessa merda, sempre le stesse persone senza arte né parte, dilapidati primati che nemmeno pensano, ma solo intuiscono che oggi essere un depensante tira forte, e allora vai che andiamo a gentrificare l'ennesima bocciofila di vecchi sdentati in periferia. Magari chiamiamo i professionisti della moda e ci facciamo una bella sfilata di moda nella bocciofila! Che idea! Così, al posto dei designer e degli stylist, in prima fila ci si siedono influencer e tiktoker. Oppure possiamo andare a fare colazione all’alba in piazza Duomo, perché ormai siamo così soli e annoiati che ci rimangono solo queste stronzate per stare insieme e trovare punti di aggregazione. Agli opening delle mostre ci trovi un'altra masnada di imbecilli a cui interessa meno di zero di cosa c'è esposto, sono lì a fare network, le storie, i selfie. Se una roba non genera business, allora non interessa. Il paradosso è che se sei un artista, vuoi lavorare e fare qualche soldo, non puoi fare a meno di venire a contatto con la trappola di Milano, perché fuori da qui questo paese è il nulla cosmico. Pensate come stiamo conciati...
Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.