Bengala #81 - Ho i pinguini in casa ma non mollo
foto Archivio Banhoff - STUDIO SUL TRICOLORE
«Il più grande progresso delle masse fino a ora è stata la guerra di religione, poichè è la prova che le masse hanno cominciato a trattare le idee con rispetto»
frase di Nietsche da Introduzione alla guerra civile (GoG)
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EDITORIALE UMORALE
In piena notte il televisore si è acceso da solo su Rete 4. Sentivo le voci, vedevo i riverberi di luce che arrivavano dal corridorio, piccoli frame di azzurro e grigio luminoso. Ho controllato subito che non fosse stata Pappeh e l’ho trovata nell’armadio. Non era stata lei.
Quindi sicuramente un poltergeist, delle presenze o un contatto invisibile. È una massa di energia silente che mi rema contro, è la Sfida. Segnali nel buio cercano di disincentivarmi, qualcuno vuole che io perda. Lo sento. Quelli come me non ce la devono fare, rovinano l’umore a tutti.
Mi sono alzato nel freddo, nel gelo, toccando coi piedi il pavimento marmo. Il poco caldo accumulato sotto le coperte con la precoce borsa dell’acqua calda svanisce subito... Ma non mi avranno, non accenderò il riscaldamento. Dovranno esserci i fottuti pinguini in casa (come nel film di Pozzetto). Non cederò, comprerò abbigliamento tecnico in pile, robe per gente che lavora all’aperto, robe per andare sulla neve, ma non accenderò il riscaldamento. Fino che posso, difendo la mia linea. Sono io contro di loro, loro contro di me. Sento le voci, uhhhh, si comincia a ruzzare finalmente.
Dice ah sei così bravo a scrivere, perché non fai un libro? Nooooo! Allora mi vuoi male? Non lo voglio fare un libro. Un libro non funziona. Io stesso ho dei tempi di attenzione distrutti dagli smartphone, nessuno vuole leggere più dei cazzo di libri, al massimo brandelli di frasi come queste, al massimo il podcast, al massimo una stramaledetta serie tv ma ti prego non farmi leggere un libro. Sono disposto anche a uscire pur di leggere un libro (non è vero, io ne leggo, infatti non esco).
Sono nato nell’epoca sbagliata, fino agli anni sessanta essere uno scrittore poteva avere un senso, ora no. Mi sentirei malissimo a dover spingere il mio prodotto assieme a tutti gli altri scrittori non cagati, malissimo a dovermi rapportare con un editore che ne ha mille come me e non sa manco che faccia abbia, ancora peggio a sapere i dati di vendita. Cento copie, centocinquanta. Questi sarebbero. Già se arrivassi a mille sarei una sorta di caso editoriale. Che imbarazzo immenso.
Mille. Niente.
A che serve essere uno scrittore se non sei uno scrittore famoso? A che serve se non ti invitano ai premi letterati sulle isole nel mediterraneo o nelle televisioni francesi? A che serve se non porti il tuo libro da Fazio? Per essere uno scrittore non famoso lo sono già. Dice: non hai scritto un romanzo. Rispondo: menomale. Li vedo quelli che scrivono i romanzi, sono così frustrati tra trame e personaggi, intrecci e storielle. Il mio romanzo è la mia vita, mi sveglio e ce l'ho duro, quindi vuol dire che ho ancora del sangue che pompa dalla parte giusta. Poi è freddo il Pandino non parte e mi arriva la bolletta e bestemmio. Ne scrivo in Bengala tutte le settimane, eccolo il romanzo.
Io non voglio essere scrittore, io voglio beni materiali. Io voglio potermi comprare un divano all’Ikea senza che questo comporti svenarmi. Per me è utopico spendere 2000 euro per rifarmi il salotto. Cristo non sto chiedendo le vacanze alle Maldive sto chiedendo la normalità: voglio un divano a L per svaccarmi come tutti i ciccioni del mondo e una tv schermo piatto in cui guardare pattume. Invece ho un divano letto degli anni settanta, sfondato, e non ho la tv in salotto perché c’è una mezza presa della corrente in tutta la stanza visto che l’impianto è degli anni sessanta. Dovrei chiamare l’elettricista, fargli fare dei lavori, comprare la tv. Vuoi che non ti partono 700 euro + 200? Quasi uno stipendio per uno scemo divano.
Capisci è qui il panico. Ma se col mio lavoro non posso tranquillamente comprarmi un divano e una tv, che cazzo lavoro a fare? Per fare la spesa al supermercato?
Allora le peore siamo noi che orma ci va così bene essere degli schiavi.
A vent'anni frequentavo la gente di sinistra ma anche a pensarci non mi hanno mai e poi mai parlato di rivoluzione. Rompevano i coglioni per la tav, ce l'avevano con Berlusconi, ma mai nessuno che mi avesse detto "rovesciamo il sistema". Ecco perché li odiai tanto, erano così superflui. Che cazzo me ne fregava a me di Berlusconi lo scopatore o di un treno? Sentivo che non gli stava bene che lui al potere si divertisse, che era più una ramanzina da nonni che volevano fargli loro che avrebbero sempre scopato le stesse compagne noiose. Io volevo incontrare qualcuno con cui sfasciare i bancomat e fondare una contea fuori dalla giurisdizione di stato.
Era così deludente che i miei fratelli non avessero i miei stessi bisogni. Mi sentii così solo. Ora ne sono felice: erano brutti, finti, scontati, dovevo essere davvero tanto privo di idee per accontenarmi di quel surrogato di compagnia.
Ora ho 40 anni e finalmente sono nato. Sono un uomo. Non ho più quelle velleità riformiste sul mondo ma solo su me stesso. Sono un uomo occidentale medio incentrato sul suo proprio benessere, come tutti. Però almeno so divertirmi delle mie miserie, so sorridere al fatto che guido la Panda Quack e non una Tiguan, sorrido al fatto che in casa mi vesto come un operaio. Non voglio fare nessuna rivoluzione e non voglio nemmeno sentirne parlare, tanto è infattibile in questa epoca storia e dopo vi caccio anche un paio di libri che spiegano il perché.
La mia rivoluzione è stata non diventare uno di loro, dove per loro si intende un nemico invisibile di scontenti che si sono venduti il divertimento barattandolo con una posizione sociale. Io pure l'ho fatto solo che la mia posizione, come la tua forse, è differente: fuori da tutto. A cazzo duro.
Ecco perchè qui ci divertiamo un sacco.
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DIARIO DEL TELEFONINO
foto Archivio Banhoff
volevo scrivere la storia di questa foto
ma poi mi chiama tre volte di fila mia madre
e provo a non rispondere
alla fine cedo, piagnucola, sta male
colpa di quello che "scaricano" in cielo dice lei
ci bombardano, lei lo sa, dice
è una teoria sui cinesi che ha da anni
(dice lancino bombe d'acqua finta nel cielo per far piovere).
in realtà sono il bendaggio e le garze alla gamba non funzionano
il dolore le aumenta e diventa insofferente.
Poi mi dice che l'avvocato è ancora stupito
di quanto in fretta ci abbiano pignorato la casa
di solito ci mettono anni, con noi pochi mesi.
secondo lei c'è lo zampino di sua sorella
che è una mentecatta e non riesce nemmeno a camminare dritta
che zampino possa averci messo io non lo
ma sono sfiancato dai suoi complotti,
dalle sue malattie incurabili,
dalle allucinazioni.
Allora ne ricreo una mia più potente in cucina.
In cucina c'è paccottiglia a tema cucina
e poi come dice Giorgetta c'è "l'angolino sovranista"
che consta di:
una statuetta di Trump che al posto del cazzo ha un cavatappi
portatomi da Paolo da NY.
Una foto della Meloni che sembra bona di Marco Valli
lo spremiagrumi di Mussolini
che una signora di novantanni ero a casa sua
scattavo foto
e sbattei la testa in un lampadario
e mi fece: quello è il lampadario del Duce
e via la filippica che in Romagna conobbe tutta la sua famiglia
e quando svuotarono una casa a Predappio
avevano così tanta roba da buttar via che regalavano
uno era il lampadario
uno lo spremiagrumi
che ora ce l'ho io e mi fa molto ridere.
Il duce in foto ride sempre, a me fa ridere lui, sembra un bimbo tocco.
Mi sa tutto di complottismo alla QAnon.
Le tv si accendono da sole,
sento le presenze.
Mia madre è il mandante della mia disfatta.
Questa avrei dovuto ripararla
si era solo staccato qualcosa dentro
ma io non so riparare nulla
tolsi la maniglia tre anni fa
e non la rimisi mai
per un periodo ci ho infilato dentro un coltello tagliacarte
che usavo per far scattare la serratura
ma era pericoloso
la lama non tagliava ma sporgeva appuntita
e un giorno mi ci sono squarciato un fianco
allora adesso la tengo così, sempre aperta.
dissi: domani riparo la maniglia
e ancora oggi è così
un po' perché non so ripararla
un po' perché tanto non cambia nulla
Quello dei cani da caccia l'ho preso a 20 euro.
Un affare unico anche se ancora non l'ho appeso.
Nel delirio accumulativo c'è finito un telo glitterato, stupendo.
Poi sotto si ammirano le mie Timberland estive preferite
quelle sformate, verdine, piene di buchi
non le fanno più
ne fanno un modello simile, quelle blu che comprai in Sicilia
ma sono più fighette, le metto poco
sono quasi uguali ma non sono l'originale, e io in qualche modo ne sono deluso.
(ストリートファイターII)
LIBRI INUTILI E SUPER BELLIII
estetica per millennials. Ennesimo gioiello di Bolopaper
Sono in piscina alla Comunale di Montecatini Terme dopo l'allenamento con la squadra di pre-agonistica, ho nove anni e ho appena lasciato a terra il borsone bagnato. C'è un capannello attorno ai videogiochi prima del bar e quelli sono i miei primi momenti di socialità collettiva assieme ai miei amici.
L'Ilaria Parlanti mi ha dato picche la settimana scorsa, non è stata delicata. Dopo che ho trovato il coraggio di dichiararmi, mentre ella giocava a flipper, ha stroncato il mio tributo con un lapidario: «mi fai caa» (mi fai cagare).
Alfonso, che poi ritroverò a karate due anni dopo, gioca a Street Fighter. È più grande di noi, ha una peluria scura oscena sulle labbra che sembra un accenno di baffo e ha il naso gigante, coem se glielo avessero rotto. Volge lo sguardo a noi più piccoli con la coda dell'occhio, come se guardasse la merda che ha appena pestato sul marciapiede e continua a masticare la gomma.
Alfonso fa il record, scrive il suo nome tra i primi dieci della schermata del gioco Capcom e ci fa sentire la sua superiorità fisica e ormonale. Io a malapena arrivavo al secondo combattimento, lui finiva imbattuto. Sapeva usare tutti i personaggi ma mentre noi sceglievamo i banali Ryu e Ken lui combatteva con Zangieff o Blanka. Erano personaggi non scontati, un comunista e un mostro brasiliano.
Alfonso era brutto, sembrava un cane, ma di sicuro aveva già avuto esperienze con le donne, mentre noi potevamo solo struggerci nel desiderio di un futuro.
io perdevo a Street Fighter, lui vinceva. Eppure non mi stancavo mai di giocarci, di prendere il suo posto dopo che era andato via in motorino, di ascoltare quelle musichette e ballettare sui miei stessi passi. Giocare dopo di lui mi è servito decenni dopo a battere l'imbarazzo del silenzio che sentivo quando salivo in metro a Milano, con tutti quegli estranei che mi fissavano con fastidio.
Questo libriccino di Bolopaper, è il libro illustrato dei miei ricordi. È perfetto, completamente inutile, lo aprirete la volta che lo comprate e poi basta lo metterete da qualche parte nella cosa a o in libreria. Ma non conta, saprete sempre che avete delle pagine stupende con gli sfondi più belli mai fatti per un videogioco. lo consiglio a tutti.
NON ANDREBBE DETTO MA SPACCA IL CUORE
esce il libro rivelazione di Chandeler, perché è questo che sarà sempre per noi. Pare di leggere Palahniuck. Bellissimo.
cagava in un sacchetto per colostomia, dipendente da ogni cosa, costretto a far ridere sin da bambino
Non lo so, dopo 200 pagine ho dovuto smettere perché stavo male. Letterlamente.
Non è tanto un discorso di enfatizzazione di un mito, è che qui la sofferenza è descritta fin troppo bene.
Non ero nemmeno 'sto fan smisurato di Friends, semplicemente come Matthew Perry e tutto il mondo, ero innamorato di Jennifer Aniston. Non c'era molto da dire, era quello il motivo per cui guardavo Friends.
Poi per un maschio finalmente in una sit com erano descritti dei maschi teneroni con i sentimenti come Ross e Joey, ma chiaramente tutti volevano essere Chandler. Ecco si, l'latro motivo per cui guardavo Friends era che volevo essere come Chandler.
La cosa bella è che leggendo il romanzo si capisce quanto il personaggio Chandler sia in realtà Matthew Perry Stesso, che ha imparato tutto sulla comicità da due ragazzini di 11 anni a Ottawa quando era bambino, due a cui copia le battute e le inserisce nel linguaggio di massa americano, infliuenzandoli: i fratelli Murray.
È sconvolgente e massiccia la dose di dolore che ti piomba addosso quanto senti il sacchetto della colostomia di Perry che esplode e lui che si riempie di merda nel letto, o quando aspetti quindici giorni prima che si risvegli dal coma, o quando aspetta sette ore e paga decine di migliaia di dollari solo per essere dimesso dalla clinica di rehab, fumare una sigaretta e rientrare.
Impotente, conquistato dall'alcol (La Cosa Terribile) a dodici anni, conoscerà per la prima volta la serenità dopo una sbronza colossale. Da li la sete non si placherà mai, nemmeno quando guadagnerà un milione di dollari a settimana o sarà fidanzato con Julia Roberts, nemmeno quando sarà su tute le cover del mondo e vorrà comunque essere da un altra parte (persino a ER Medici in prima linea).
Il libro è un mix di Palahniuck e la Hollywood di Kennet Anger e James Ellroy, tutta vip stramboidi e viziati e gente che inciucia con gente. Perry vede meno gente possibile, quando non beve prende farmaci, ogni volta arriva vicino alla morte ma non muore. Lo definieri un libro sul capitalismo, sulla fine del 900, sulla fine del cristianesimo e della famiglia, sul vuoto. Niente male.
Estratti random:
Il mio cervello è fatto per uccidermi, e io lo so. Provo costantemente un latente senso di solitudine, una forma di desiderio che si aggrappa all’idea che qualcosa al di fuori di me possa essere in grado di aggiustarmi. Ma ho avuto tutto ciò che l’al di fuori di me aveva da offrirmi! Julia Roberts è la mia ragazza. Non importa, devi bere. Ho appena comprato la casa dei miei sogni – ha una vista strepitosa su tutta la città! Non puoi godertela senza uno spacciatore.
Guadagno un milione di dollari a settimana – sono un grande, giusto? Ti andrebbe di bere? Ma certo, grazie molte.
Avevo tutto. Ma era tutto un trucco. Nulla poteva aggiustare questa cosa. Ci sarebbero voluti anni prima che afferrassi anche solo il concetto di soluzione.
Non so davvero decidere se mi piacciano o meno le persone. La persone hanno dei bisogni, mentono, tradiscono, rubano, o peggio: vogliono parlare di sé. L’alcol era il mio migliore amico perché non voleva mai parlare di sé. Era semplicemente lì, il cane silenzioso ai miei piedi che mi guardava dal basso, sempre pronto a uscire per una passeggiata.
***
Ricordo in quel periodo di aver visto mia madre piangere in cucina, e di aver pensato Perché non beve? Non ho idea di come avessi colto il concetto che una bevanda alcolica avrebbe fermato il pianto. Di certo non avevo bevuto a otto anni (ne avrei aspettati altri sei!), ma in qualche modo la cultura che mi circondava mi aveva insegnato che bere equivaleva a ridere e divertirsi, e garantiva una necessaria via di fuga dal dolore. Mamma piangeva, allora perché non beveva? Dopo sarebbe stata ubriaca e non avrebbe sentito le cose in modo tanto intenso, giusto?
***
Sulla prima sbronza da ragazzino:
(...) stavo disteso nell’erba e mi successe qualcosa. Avvenne ciò che mi rende fisicamente e mentalmente diverso dai miei amici. Ero sdraiato nell’erba e nel fango, a guardare la luna, circondato dal vomito fresco dei Murray, e mi resi conto che, per la prima volta nella mia vita, nulla mi infastidiva. Il mondo aveva senso; non era storto e folle. Era completo, in pace. Non sono mai stato più felice che in quel momento. Questa è la risposta, pensai; questo è quello che mi mancava. Deve essere così che la gente normale si sente sempre. Non ho problemi. Tutto è sparito. Non ho bisogno di attenzione. Sono accudito, sto bene.
Ero in stato di grazia. Per quelle tre ore non ebbi alcun problema. Non ero abbandonato; non stavo litigando con mia madre; non stavo facendo casino a scuola; non mi stavo chiedendo quale fosse il senso della vita, né il mio posto nel mondo. L’alcol si portò via tutto.
Sapendo quello che so ora sulla natura progressiva della malattia della dipendenza, è straordinario per me che non avessi bevuto la sera successiva, e quella ancora dopo pure, ma non lo feci – aspettai, e il flagello dell’alcolismo non mi aveva ancora attanagliato. Perciò quella prima sera non mi condusse a bere con regolarità, ma probabilmente gettò il seme.
(...) e con il tizio della pompa di benzina in fondo all’isolato – farei a cambio con tutti loro in un minuto e per sempre se solo potessi non essere chi sono, così come sono, legato a questa ruota di fuoco. Loro non hanno un cervello che li vuole morti. Loro dormono bene la notte. Non mi aspetto che questo li faccia sentire meglio rispetto alle scelte che hanno compiuto, al modo in cui sono andate le loro vite.
Io darei tutto pur di non sentirmi così. Ci penso costantemente; non è un pensiero folle – è un fatto spietato. La preghiera faustiana che feci fu stupida, la preghiera di un ragazzino. Non si basava su nulla di reale.
Ma lo è diventata, reale.
A dimostrarlo ho i soldi, la riconoscibilità, e le esperienze di quasi morte.
***
(...) quando riesco ad avere qualcuno, devo lasciarlo prima che lasci me, perché non sono abbastanza e sto per essere scoperto, ma quando qualcuno che voglio non mi sceglie, ciò prova soltanto che non sono abbastanza e che sono stato scoperto. Testa vincono loro, croce vincono loro. In ogni caso, a oggi, se qualcuno fa il nome di quella donna, mi si contorce lo stomaco. La paura che guida ogni mio minuto di veglia si era realizzata. Lei arrivò a dirmi che il mio rapporto con l’alcol era un problema – giusto un’altra cosa di cui la dipendenza mi ha privato. Pensereste che una vicenda del genere potrebbe spingere alla sobrietà, ma in realtà rese la situazione peggiore. Accendevo candele per tutta casa, bevevo, guardavo il film in cui recitavamo insieme, mi torturavo da solo, col cuore a pezzi, cercando di farmela passare. Fallendo.
COME MAI OGGI È IMPOSSIBILE UNA RIVOUZIONE
PRODUCI, CONSUMA, CREPA MA SE CI RIESCI PROVA ANCHE A VIVERE
Filososofia? C'ho mai capito nulla, al massimo qualcosina. Però ecco alcuni filosofi ho provato a leggerli e mi hanno dato tanto, forse Nietzsche più di tutti. «È un problema di linguaggio Cobrino» mi dice Enrico che è sia bello che laureato in filosofia, in pratica quello che vorremmo essere tutti.
Comunque che ne so a volte mi butto anche su testi di Morton e godo ma non è mai una lettura galoppante. almeno non lo era prima che incontrassi il coreano Byung-Chul Han.
Adesso che l'ho scoperto andrò a ritroso e mi leggerò tutta la sua produzione, finalmente ho trovato uno che parla la mia lingua, la nostra lingua.
Ecco vedi, in letteratura, chi lo fa? Franzen? ma fammi il piacere dai con quelle sue ansie da democratico frustrato che passa le giornate a menarsela. Ora godetevi il motivo sul come mai non è possibile una rivoluzione.
FILOSOFO COREANO SUPER CAZZUTO E COMPRENSIBILE DA LE PAGHE A TUTTI GLI INTELLETTUALI ITALIANI.
Estratto da Perché oggi è impossibile una rivoluzione
di Byung-Chul Han (Nottetempo)
Come mai il sistema di dominio neoliberista è così stabile? Come mai ci sono così pochi fenomeni di resistenza? E come mai questi si traducono tutti, ben presto, in un nulla di fatto? Come mai oggi non è più possibile una rivoluzione nonostante la forbice tra i poveri e i ricchi diventi sempre più grande? Per spiegarlo bisogna capire con esattezza come funzionano, oggigiorno, il potere e il dominio.
Se si vuole instaurare un nuovo sistema di dominio bisogna sconfiggere ogni resistenza. Ciò vale anche per il sistema neoliberista. Per introdurre un nuovo sistema di dominio è indispensabile un potere capace di imporsi, spesso accompagnato dalla violenza. Questo potere che impone, però, non è identico al potere che stabilizza internamente il sistema.
(...) Gli operai delle fabbriche venivano sfruttati senza pietà dai padroni e lo sfruttamento brutale condusse a proteste e resistenze. Allora sì che era possibile una rivoluzione capace di rovesciare i rapporti di produzione vigenti. In quel sistema repressivo erano visibili sia l’oppressione, sia gli oppressori. Esisteva una controparte concreta, un avversario visibile cui opporre resistenza. Il sistema di dominio neoliberista è strutturato in maniera profondamente diversa. Il potere stabilizzante non è più repressivo, bensì seduttivo, e non è più così visibile come sotto il regime disciplinare. Non c’è una controparte evidente, non c’è un nemico che opprime la libertà e contro cui sarebbe possibile opporre resistenza.
Il neoliberismo ha modellato, a partire dall’operaio oppresso, un libero imprenditore – un imprenditore di se stesso. Oggi, ciascuno è un operaio che si sfrutta da solo, un dipendente di se stesso. Ciascuno è al contempo servo e padrone, per cui la lotta di classe si è trasformata in una lotta interiore. Chi oggi fallisce si dà la colpa e si vergogna: individuiamo il problema in noi stessi, piuttosto che nella società.
Il potere disciplinare che con grande dispendio di energie costringe le persone in un corsetto di comandamenti e divieti è, a ben vedere, inefficiente. Molto più efficace, invece, la tecnica di potere che fa sì che le persone si sottomettano volontariamente. Tale efficacia si fonda sul fatto che il potere qui non funziona mediante divieti e restrizioni, bensì facendo leva sul piacere e sulla soddisfazione dei desideri. Anziché renderle remissive, cerca di rendere le persone dipendenti. Tale logica di efficienza neoliberista vale anche per la sorveglianza. Negli anni Ottanta ci sono state forti proteste contro il censimento, persino gli studenti sono scesi in piazza. Dall’ottica odierna, le informazioni tipiche di un censimento – come il mestiere, il livello di studio o la distanza dal posto di lavoro – sembrano quasi ridicole. Quelli erano anni in cui si credeva di dover opporre resistenza allo Stato inteso come autorità repressiva che puntava a strappare informazioni ai cittadini contro il loro volere. Oggi ci denudiamo volontariamente.
È proprio questo senso di libertà a rendere impossibile la protesta. Al contrario dell’epoca dei censimenti, oggi protestiamo pochissimo contro la sorveglianza.
Questo denudamento, questo volontario passarsi ai raggi x, segue la medesima logica di efficacia dell’autosfruttamento. Protestare contro cosa? Contro se stessi? L’artista concettuale americana Jenny Holzer ha messo in risalto questa situazione paradossale in uno dei suoi “truismi”: “Protect me from what I want”. È importante distinguere tra potere che s’impone e potere che preserva. Il potere che salvaguarda il sistema assume oggi una forma affabile, “smart”, rendendosi invisibile e inattaccabile. Il soggetto sottomesso non sa nemmeno di esserlo, e anzi crede di essere libero. Questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima. Le forme di dominio che sottomettono e attaccano la libertà, al contrario, non sono stabili. Il regime neoliberista è stabile proprio perché si immunizza contro qualsiasi resistenza e usa la libertà invece di opprimerla. L’oppressione della libertà suscita ben presto resistenza. Lo sfruttamento della libertà no.
Nell’epoca odierna non esiste una moltitudine collaborativa e interconnessa in grado di elevarsi a protesta globale, a massa dedita alla rivoluzione. È, piuttosto, la solitudine a caratterizzare l’attuale regime produttivo di isolati imprenditori di se stessi. A suo tempo, gli imprenditori erano in concorrenza gli uni con gli altri, mentre all’interno dell’azienda era possibile la solidarietà. Oggi la concorrenza è ovunque, anche all’interno della medesima ditta. La concorrenza universale aumenta senza dubbio la produttività a livelli spaventosi, ma distrugge la solidarietà e il senso di comunità, giacché non può nascere una massa dedita alla rivoluzione mettendo insieme individui esausti, depressi e isolati.
Oggigiorno ci buttiamo con euforia nel lavoro, fino al burnout – e infatti il primo stadio della sindrome da burnout è proprio l’euforia. Burnout e rivoluzione si escludono a vicenda, quindi è erroneo credere che la moltitudine possa scalzare l’impero parassitario, instaurando al suo posto una società comunista. Come siamo messi oggi col comunismo? In ogni dove si evocano community e condivisione. La sharing economy dovrebbe sostituire l’economia della proprietà: “Sharing is caring”, recita la massima dei circlers nel Cerchio di Dave Eggers (...) n realtà il motto principe dovrebbe essere “sharing is killing”. Anche WunderCar, il sito che organizza passaggi in auto e che trasforma ciascuno di noi in un tassista, promuove un’idea di comunità. È tuttavia fallace credere che la sharing economy, come sostiene Jeremy Rifkin nel saggio La società a costo marginale zero, segni la fine del capitalismo annunciando una società globale organizzata in modo comunitario nella quale la condivisione ha più peso del possesso. Al contrario: la sharing economy conduce a una commercializzazione totale della vita.
Il passaggio dal possesso all’“accesso”, tanto celebrato da Rifkin, non ci libera dal capitalismo. Chi non ha soldi, non ha nemmeno accesso allo sharing. Anche nell’era dell’accesso continuiamo a vivere in un panottico esclusivo, che taglia fuori chi è senza soldi. Airbnb, il mercato immobiliare comunitario che trasforma qualsiasi abitazione in un hotel, arriva a sfruttare economicamente persino l’ospitalità. L’ideologia della community o del wiki collaborativo porta a una capitalizzazione totale della comunità. Non è più possibile un’affabilità senza secondi fini. In una società in cui ci si recensisce a vicenda, anche l’amicizia finisce commercializzata. Ci si comporta in maniera amichevole per ottenere recensioni migliori. Anche nel bel mezzo di un’economia collaborativa imperversa la logica severa del capitalismo: malgrado si “condivida” tutto, ecco che, paradossalmente, nessuno cede volontariamente qualcosa. Il capitalismo raggiunge il suo culmine nel momento stesso in cui vende il comunismo come se fosse una merce. Il comunismo come merce: questa sì che è la fine della rivoluzione.
WELCOME BACK NEL 2001 QUANDO IL MONDO INIZIA A CROLLARE
CONTRO TUTTO
estratti dal pazzo libro pubblicato da GOG
Filosofia non c'ho mai capito un cazzo, rabbia sociale si.
Andavo al Circolo Arci Ho Chi Minh perché volevo tutti sapessero che appartenevo a qualcosa. Quando passavano in macchina di fronte al loggiato del Circolo volevo che sapessero che non ero come loro, che ero contro di loro, che volevo organizzare qualcosa, che mi piaceva l'idea del casino. Non mi piaceva il circolo fino in fondo però, non mi è mai piaciuto fino in fondo. Era solo l'unica cosa contraria al tutto che conoscevo e lo frequentavo per quello.
Questo libro mi riporta agli anni in cui la gente era ancora intrippata con Matrix o i miei coetanei volevano andare a manifestare contro la TAV in Val di Susa o al G8. Tempi lontanissimi. Oggi non ci andrebbero perché hanno avuto dei figli o perché semplicemente sono stanchi. A quell'epoca eravamo tipo una curva di ultras di qualcosa, del pensiero direi. La summa di quella estetica volenti o nolenti ce l'ha data Max Pezzali degli 883: «Questa città e le sue manie/ due discoteche e centosei farmacie». Io venivo da un posto così.
La pesantezza dei ragazzi del circolo è che ci credevano davvero in quello che gridavano, o almeno si convincevano di crederci e volevano convincere anche te. Se non ti univi a loro o ti escludevano o ti combattevano. Erano come i testimoni di Geova. Quelli di Lotta Comunista erano messi meglio poiché erano letteralmente inchiavabili sotto ogni punto di vista. Tutto brutto: andavano a suonare il campanello come i rappresentanti del Folletto per vendere quel merdoso giornale incomprensibile. Lotta Comunista non era buono nemmeno per pulirsi il culo. era pieno di stronzate scritte da stronzi, li sfottevano anche i democratici. Zimbelli degli zimbelli.
Comunque il mondo era neo digitale, la fuga mentale stava nel buttarsi in un mondo alla The Beach di Di Caprio o diventare un hacker alla Neo di Matrix.
Eravamo tutti convinti di essere il proseguimento degli uomini fabbricati e poi macellati del video di The Wall, o gli embrioni nutriti nelle celle di Matrix e viventi in un sogno digitale.
Volevamo quindi: droghe, musica, viaggi low cost, disimpegno, al massimo qualcuno voleva spaccare le vetrine o minacciare le camionette dei carabinieri con un estintore. I meno scolarizzati diventano ultras del calcio, quelli laureati ultras delle opinioni.
Questo libro mi riporta a quegli anni, ma con gente molto più valida di quella che frequentavo. Se mai ci fosse stata una rivoluzione, avrei voluto farla con questi matti qui.
Tiqqun è stata una rivista d’ispirazione anarco-insurrezionalista. Non ne esistono autori, o almeno nessuno ha interesse a essere riconosciuto come tale. Mitizzata dalla estrema sinistra anarchica francese, dai movimenti di rivolta d’oltralpe e d’oltreoceano, è circolata ovunque l’insoddisfazione per questo mondo si è accesa in un’insurrezione. Dalla ZAD di Notre-Dame-des-Landes, a Exarchia ad Atene, dal Nordafrica delle primavere alla Val di Susa, dai Gillet Gialli agli Zapatisti. In Italia si è diffusa tra i centri sociali e le accademie (soprattutto negli ambienti vicini a Giorgio Agamben). Dalle ceneri della sua dissoluzione è sorto il Comitato Invisibile.
«Noialtri, in declino, abbiamo i nervi sensibili. Quasi tutto ci ferisce, mentre quel poco che rimane, probabilmente, non è altro che ulteriore motivo d’irritazione, così cerchiamo in tutti modi di tenercene alla larga. Sopportiamo dosi di verità sempre più distillate, ridotte all’osso, e a ciò preferiamo lunghi sorsi di contro-veleno. Immagini di felicità, sensazioni di pienezza, parole gentili, appoggi confortanti e accoglienti, sentimenti familiari e profondi, insomma tutto ciò che possa farci sprofondare in un dolce stordimento. Soprattutto, niente guerra: niente guerra. Tutto questo nostro cercare rifugio in una sorta di contesto amniotico-assistenziale si riduce al desiderio di un’antropologia positiva. Abbiamo bisogno che ci si dica cos’è “un Uomo”, cosa siamo “noi”, cosa ci è consentito essere e volere. È un’epoca fanatica per molti aspetti, soprattutto per questa storia dell’uomo.
L’antropologia positiva è tale non solo in virtù di una concezione irenica, un po’ naif e ingenuamente cattolica, della natura umana, ma lo è soprattutto in quanto assegna “positivamente” all’Uomo delle qualità, degli attributi determinati, dei predicati sostanziali. Ecco perché anche l’antropologia pessimista degli anglosassoni, con le sue ipostasi di interessi, bisogni, dello struggle for life, s’inscrive in un progetto che ha come fine la nostra tranquillità, poiché ci fornisce ancora convinzioni comode, comode perché rassicuranti, sull’essenza dell’uomo. Ma a noi che non vogliamo adagiarci su alcun tipo di comodità, noi che abbiamo sì i nervi fragili, ma anche il progetto di renderli sempre più resistenti, sempre più inalterati, serve tutt’altro. Necessitiamo di un’antropologia radicalmente negativa, di astra zioni sufficientemente vuote, abbastanza incontaminate da impedirci qualsiasi pregiudizio, abbiamo bisogno di una fisica che riservi a ogni essere e ad ogni situazione la sua disposizione al miracolo. Concetti che spezzino i preconcetti per dare luogo all’esperienza. Per fare di noi i suoi ricettacoli. Sugli esseri umani, ossia sulla loro co-esistenza, non possiamo dire nulla che abbia lo scopo di tranquillizzare. L’impossibilità di augurarci alcunché di questa implacabile libertà ci porta a designarla attraverso un termine indefinito, una parola cieca, con la quale si suole chiamare ciò di cui non si capisce nulla, perché non si vuole capire, capire che il mondo ci richiede.
(...)
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Lo Stato moderno fa decadere le religioni perché si sostituisce a esse al capezzale del più atavico fantasma della metafisica, quello dell’Uno. Da questo momento in poi, l’ordine del mondo, che di per se stesso tende a scivolare via, dovrà essere costantemente ristabilito e mantenuto con qualsiasi mezzo. La polizia e la pubblicità saranno i mezzi fittizi che lo Stato moderno metterà al servizio della sopravvivenza artificiale della finzione dell’Uno. Tutta la sua realtà si condenserà in questi mezzi, con i quali assicurerà il mantenimento dell’ordine, ma un ordine esterno, ormai pubblico. Così, tutti gli argomenti che farà valere a suo favore si ridurranno alla fine a questo: “Fuori di me, il disordine”. Ma fuori di lui non vi è il disordine, fuori di lui vi è una molteplicità di ordini.
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Lo Stato moderno, che pretende di porre fine alla guerra civile, ne è piuttosto la continuazione attraverso altri mezzi.
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Il processo che su scala molare assume l’aspetto dello Stato moderno, su scala molecolare si chiama soggetto economico.
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Ci siamo ampiamente interrogati sull’essenza dell’economia, e più specificamente sul suo carattere di “magia nera”. L’economia non può essere intesa come un regime di scambio, e quindi di relazione tra forme-di-vita, al di fuori di una presa etica: quella della produzione di un certo tipo di forma-di-vita. L’economia appare ben prima delle istituzioni con le quali viene comunemente segnalato il suo emergere _ il mercato, il denaro, i prestiti a usura, la divisione del lavoro _ e appare come possesso, appunto, possesso da parte di un’economia psichica. È in questo senso che è in gioco una vera magia nera, ed è solo a questo livello che l’economia è reale, concreta. È qui che la sua connessione con lo Stato è empiricamente osservabile. La crescita per spinte successive dello Stato è ciò che, gradualmente, avrà creato l’economia nell’uomo, avrà creato “l’Uomo” in quanto creatura economica. A ogni perfezionamento dello Stato, si perfeziona l’economia in ciascuno dei suoi soggetti, e viceversa.
«In un certo senso, il campo di battaglia è stato trasposto nell’intimità profonda dell’uomo. È lì che l’essere umano si riduce ad affrontare tensioni e passioni che un tempo erano esternate nel combattimento corpo a corpo in cui gli uomini si affrontavano diretta mente. [...] Gli impulsi, le emozioni passionali che non si manifestano più nella lotta tra gli uomini, si sollevano spesso all’interno dell’individuo contro la parte “sorvegliata” del suo Io. Questa lotta semiautomatica dell’uomo con se stesso non ha sempre un esito felice». (Norbert Elias, La dinamica dell’Occidente).
Come testimoniato lungo tutto l’arco dei Tempi moderni, l’individuo prodotto da questo processo di incorporazione dell’economia porta in sé una fenditura (fêlure). È attraverso questa fenditura che trasuda la sua nuda vita. I suoi stessi gesti sono incrinati, infranti dall’interno. Nessun abbandono, nessuna assunzione può avvenire dove si scatena il processo statale di pacificazione, la guerra di annientamento diretta contro la guerra civile. Invece di forme-di-vita, troviamo qui, in maniera quasi parodistica, delle soggettività, una sovrapproduzione ramificata, una proliferazione arborescente di soggettività. A questo punto converge la doppia disgrazia dell’economia e dello Stato: la guerra civile si è rifugiata in ciascun individuo, lo Stato moderno ha messo ciascun individuo in guerra contro se stesso. È da qui che partiamo.
I termini della transazione hobbesiana tra il soggetto e il sovrano sono noti per esperienza: “Scambio la mia libertà con la vostra protezione. Come compenso per la mia assoluta obbedienza esterna dovete garantirmi la sicurezza”. La sicurezza, che anzitutto è posta come protezione dal pericolo di morte che gli “altri” portano su di me, assume tutt’altra estensione nel corso del Leviatano. Nel capitolo XXX, leggiamo: «Notate che per sicurezza non intendo qui solo la preservazione, ma anche tutte le altre soddisfazioni di questa vita che ognuno potrà acquisire con la sua legittima industria, senza pericolo o danno per la Repubblica»
DE LILLO DIETRO DE LILLO
la mia intervista al grande Mario
Pubblicato con VD NEWS
Di lui fui tra i primi a scrivere su Rolling Stone completamente innamorato di quello che faceva. Lo faceva così bene che cascai quasi nella trappola, credevo fosse vero. Capivo che c'era un personaggio si, ma non capivo dove finiva. Credevo che l'uomo dietro Arte Povera fosse abbastanza simile a Mario De Lillo, invece no.
Uno guarda i creator digitali e generalizza sempre: tanto che ci vuole a farlo? A fare un video, a inventarsi uno slogan, a far ridere. A tutti loro farei conoscere Mario.
Come tutti quelli dotati di qualità comiche, dal vivo Mario è riflessivo ai limiti del metterti a disagio. Ha un pensiero lucido, sa dire esattamente cosa prova in un determinato momento e sa analizzare la situazione meglio di te. È focalizzato su quello che cerca, su come cercarlo, su come esprimerlo.
È un attore, mette in scena un personaggio che per certi versi è l'opposto di lui. Lo sguaiato romano de borgata che urla NUN MOLLA' è la creazione di un uomo che cerca di creare una narrazione. Non si rende conto nemmeno lui di quanto sia potente il personaggio a mio avviso, tanto che come ogni buon autore a un certo punto lo senti che è proiettato nel creare qualcosa di nuovo.
Glielo ho detto anche a lui e lo voglio riscrivere: tra un secolo nei testi scolastici non ci saranno i personaggi dei libri della Murgia o di qualche altro premio Strega, perché non hanno toccato davvero la coscienza popolare. L'hanno descritta magari, ma non l'hanno influenzata. Arte Povera è diventato un richiamo preciso, ha incarnato la filosofia di vita di milioni di persone. Mario De Lillo si studierà a scuola, la Murgia no.
MEME CALCISTICI X TIFOSI MISTICI
IL NO SENSE QUELLO VERO
Di lui non so niente se non che ha sui vent'anni ed è un devoto vero di Richard Benson.
Ho una foto di Thom Yorke che ho scattato fuori dal concerto all'Arena di Verona nel 2001, dopo la serata. Era stremato, ma salutava comunque con un sorriso. Forse sarebbe stato piacevole parlarci, ma forse no, non lo feci. A volte con i tuoi miti non devi parlarci e devi accettare che rimanga solo il piano artistico tra di voi.
Ho chattato poco con Giulio e ho subito capito che ha una marcia in più. Il suo lavoro sui meme lo dimostra. NOn molla di un millimetro, è aggressivo ma mai eccessivo, è un livello sopra i meme di tutti i giorni.
Il no sense è talmente rigoroso che ti ritrovi in un empasse linguistico "memisticoxcalciatorimistici" che potrebbe diventare un aggettivo come "kafkiano". Ci sono dei meme che solo questa pagina può memare, un po' come vale per Filosofia Coatta, che infatti me lo ha fatto scoprire.
STUPIDERA
Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.
«La gente continua a venire da me, a parlarmi: senza invito vengono e io ascolto, offro loro quello che ho da bere e poi se ne vanno. Ma quelle ore non sono sprecate... l'uomo impara dall'uomo, e se non lo fa ha perso una grande possibilità e ha mandato tutto a puttane.»
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