Bengala #76 - Abbiamo smesso di guardare i soffitti


foto Archivio Banhoff - "Studi sul Cristo"
«In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare».
(Henri Laborit)
«Avevamo tutti più o meno quell'età in cui non hai ancora deciso se mettere su famiglia o perderti per il mondo».
(Raffaele Montini, voce narrante di Mediterraneo)
«Sai che qui a Milano c'è la peste
E io ti tengo stretta dentro la tua testa
Non ti ho mai lasciato andare veramente
Non ti ho mai avuto che nella mia mente
Dimmi che ti sentirò qui addosso
Dimmi che ti sognerò e fa lo stesso
Puoi arrenderti, posso dimenticare
Tanto non sei stata mai, non può finire»
(Manuel Agnelli)
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EDITORIALE UMORALE
Non lo so, non mi torna. Dentro ho un’onda lunga che si scroscia sulla mia riva e riazzera ogni volta i pensieri. È come se avessi una memoria a breve termine troppo breve, riesco a focalizzare quasi solo immagini, le parole sfuggono. Le devo sottolineare più volte sui libri o scrivere sull’agenda. Poi però l’agenda non la rileggo. La faccio tutta ammodino, schematizzo, sono così produttivo ma tanto alla fine mi dimentico gli appuntamenti. Come se fosse più importante scriverli bene che presenziarli e forse un po’ è davvero così.
Questa settimana non c’è l’editoriale, perché sono stato in mutua con la laringite e invece di dedicarmi al mondo mi sono dedicato quasi solo ai fatti miei. Li vedo, i personaggi del mondo, che si muovono nella tv o nello schermo del mio telefonino, ma è come se fossero dietro un acquario perché quasi sempre li osservo senza volume. La tv per esempio è molto più adatta come “lampada” che come megafono. A volte la accendo e la tengo in sottofondo per ore senza audio solo perché le sue mille luci fanno atmosfera in cucina.
Che ne so, mica posso preoccuparmi davvero di Ignazio La Russa, uno che aveva il pastore tedesco famoso per "abbaiare ai comunisti" (Corriere della Sera, questo me lo fa persino stare simpatico), uno che chiama i figli coi nomi dei capi indiani. Un mese fa gridavate al fascismo, ora la politica si svela per quello che è: una robetta statale in cui la stessa gente da trent'anni dice, anzi inscena, le stesse cose. Anche la Segre: che palle. Che palle la messa smielata del discorso alla camera. Porco il due stiamo andando contro l'inverno più duro degli ultimi decenni e dovrei sbattermi per gli equilibri all'interno della maggioranza, per i franchi tiratori, per Renzi? Mafatemiunbocchino. Voglio costruire un camino abusivo in casa, fregandome dell'ufficio del catasto, dei permessi, basta non devo chiedere permessi a nessuno, voglio il camino per non pagare il metano. A me nessuno m'ha chiesto il permesso di mettere le sanzioni alla Russia o di farmi vivere in condizioni economiche precarie.
O siamo dei pidocchi statali anche noi, tutti morigerati a non infrangere la legge, a non dispiacere, a non fare brutta figura? Si ai diritti dei minorenni ghei, quelli sono importaaaaanti nel dibattito culturale, si alle battaglie per l'inclusività e l'emancipazione, invece tutti zitti a pagare le bollettine a dicembre perché tanto che ci vuoi fare va così.
Oh com'è difficile restare padri quando i figli crescono e le mamme imbiancano cantava il profeta.
Ecco perché la gente si innamora a caso e tradisce la moglie, ecco perché le mogli tradiscono i mariti. Tutti tradiscono solo per tornare un po' fedeli a se stessi, per rivendicare uno spazio di autonomia. Tutti trasgrediscono solo perché nella maggior parte dei giorni dell'anno obbediscono e basta, senza mai un nossignore, senza mai un vero vaffanculo che non sia l'anatema lanciato in fila al semaforo a quello che ti suona perché è verde e non parti.
Ma è un bene, sono piccole rivolte, piccoli colpi di reni.
La gente, io, tutti, siamo spesso ipnotizzati. Siamo distratti da quello che c'è fuori mentre il nostro dentro URLA. Li hai bisogno di qualcuno che ti dica la verità ma la verità è veramente una fatica da dire specie a chi vuoi bene. Ti trovi sempre di fronte a una trafila di muri, di si ma però. Dovrebbero pagarti ogni volta che dici la verità perché ti sobbarchi davvero un gran lavoro per due. Di solito se lo fai la gente si risente, però poi dopo non può fare più a meno di te. Perché se andiamo a braccio sono davvero pochi quelli che esercitano tale potere.
La gente ha ambizioni altissime, ce le hanno anche i peggiori, gli analfabeti funzionali, i violenti, i peccatori totali. Quelli le hanno così forti e così nascoste dentro, stratificate sotto lastre di diniego marmoreo, che poi devono compiere gesta bruttissime per far pur qualcosa nelle loro vite. In pratica il male non esiste, esiste solo l'estrema resistenza al nostro istinto, a essere davvero noi stessi. La gente esce di testa quando tradisce se stessa.
DIARIO DEL TELEFONINO

foto Archivio Banhoff
Il fossile del tuo amore
Sta essiccando
Lo metto nella scatolina a cuore
Ogni tanto lo estraggo
Lo maneggio
Liscio, levigato, è avorio pulito
sarebbe stato bene anche nella tua fica
faccio finta che da li venga
lo ripongo nella scatolina
Gallina Ancestrale Sacra lo cova
al suo Interno, sotto strati di pietra
c’è ancora un alone di vita, di noi
se lo conservo non andrà perduto
sarà come fosse nato.
***
quando penso di averti dimenticata
succede sempre qualcosa
vibra l'aria
vedo i tuoi occhi
le due righe sotto di loro
sento il tuo odore
e risono li con te
immobile in quell'assenza
c’è una cicatrice invisibile con cui
hai scritto il tuo nome sopra il mio
ora sono inquilino di me stesso
abito il guscio
e quando spengo la luce
sono solo dentro di te
ti abito, inutilmente perso.
***
Mi ricordo le vite precedenti,
almeno due
in una mi hanno ammazzato in Padule
il 23 agosto del 43
l'eccidio della Tabacchiera.
Ricordo la camionetta dei tedeschi
che arrivava dalla salita
tenevo una mano adulta
sapevo che finiva la vita
avevo quattro, cinque anni
non so se fossi maschio o femmina
me ne sono ricordato quando ci sono andato
Mentre io morivo mio nonno si salvava
a pochi chilometri di distanza
portando una ragazza dentro una carriola
con le budella di fuori
i tedeschi lo fecero passare inorriditi e spaventati
(anche loro erano figli di qualcuno)
cosicché lui generasse mia madre.
nella casa dove son morto, c'erano ancora i forti di proiettile nelle porte
sui muri
c'ero io
i luoghi conservano un'energia
le case non sono solo case
le sensazioni non sono inventate
tutto è indotto
tutto vibra di passato e anticipa il futuro
siamo veggenti e premonitori
tutto è oscuro e luce
quando lo senti ti sintonizzi
dura un secondo la consapevolezza
poi torni solo in fila incazzato a suonare il clacoson
vinto.

foto Archivio Banhoff - "Studi sul Cristo"
Ho buttato via il mio spazzolino oggi
il tuo no, non ci riesco
non lo uso e non lo guardo mai
ma so che c’è. È la reliquia.
Che ricchione che sono, lo sai.
lo abita lo spirito delle nostre poche notti
attaccati laggiu nei sensi
quando trovavo la tua bocca aperta
più e più volte
in una smorfia di quasi sofferenza più che di piacere
e tornavo a riva nudo, spossato, naufrago
di un barchino salpato che mai mai mai c’era stato
era un fantasma
e hai voluto pagare la cena
ti ho abbracciata nell’acqua calda
abbiamo mangiato pizze e fritto
e sapevo fin da subito che saremmo svaniti
ma la tua pelle i tuoi occhi la tua voce roca
avrei preso una coltellata pur di farla un po’ mia
ecco la ferita ora, mettici il tuo dito
ci crescerà un fiore quando sarò ormai cenere
***
A volte quando c'ho il ruzzo così
quando mi sale la carogna, la rivolta
piglio e vo al bar
a non fare assolutamente nulla
cellulare in mano e caffeino,
magari fumo, sicuro origlio:
il vecchio ha un dente di cera
e una carie d'argento
alle sette a.m. ordina "miscela"
giacca militare e calli sulle mani
ride che sembra il far west
con le dita sa aprire il coniglio
eviscerarlo
spellarlo
poi dopo sa godersi il sugo e mangiare a quattro ganasce
ecco un uomo di pensiero e azione
un concreto
ecco che qualcuno mi rimette in asse
con gli umani maschi
che sono tutti ricchioni sballati
persi dietro a fighe pazze
e manie di grandezza.
tre giorni. tre giorni chiuso in casa
e quando esci faresti a botte col primo che incontri.
***
Mi piace svegliarti al mattino
tapparti gli occhi per non farti scappare i sogni

Non lo so ho voglia di caos, sarebbe da andare in giro con la minchia di fuori. Vedo la porcoddue di copertina di D di Repubblica su Matilda De Angelis che ci racconta l'ansia. Prima avevamo la fregna della fidanzata dei Maneskin e le sue mestruazioni, poi Asia Argento e le violenze subite. Tutte belle, tutte ricche, tutte famose, tutte a loro agio a parlare dei cazzi loro alla stampa prona a elemosinare briciole delle loro disgrazie per far passare il piattino delle offerte. Poi dici la gente non compra i giornali... Il "settore" editoriale è il problema, la quasi totalità di teste che lo compone, quella micro massoneria sfigata di gente delle redazioni, aperitivisti che si sfondano al buffet per non mangiare a casa, tip* esaurit* convint* di stare contribuendo alla storia culturale del paese con le loro opinioni sulla parità di genere.
SPERDERSI!
VINCENZO PAGLIUCA: ANNI IN GIRO PER L'APPENNINO A SCATTARE CASE ISOLATE. ECCOVI LA MAPPA DI UN MONDO SCONOSCIUTO MA NECESSARIO!
IL FOTOGRAFO È UN SOLITARIO
Il libro è su Kickstarter e ha bisogno di essere prenotato per andare in stampa. Ecco il link. Sganciate i soldi perché veda la luce.
LE CASE VUOTE

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Non so niente di fotografia di architettura o di paesaggio ma per capire cosa mi strega di questo lavoro non servono certe nozioni.
Anni fa ho iniziato a scrivere un romanzo che poi ho abortito in cui il protagonista vagava per l'Appennino centrale entrando di volta in volta in case sfitte. Qui dove vivo io ce ne sono decine. Le vedi da fuori e sono perfette, se ci entri dentro o spii dalla finestra riesci ancora a intravedere le mensole coi centrini, in tavoli in legno, le poltrone impolverate con ancora la sagoma dell'ex padrone di casa. La gente a un certo punto muore o sparisce.
Una persona mi ha fatto notare che forse tutto quello che mi spaventa di più, mettere radici, è ciò che voglio. Da anni sogno una casa mia, in certi periodi mi sono pure preso appunti su come la volevo all'interno. È il sogno impossibile di noi che non vogliamo mettere radici, che non abbiamo manco la possibilità di fare il mutuo.
Da una parte sogno un crollo sociale per cui lo stato sparisce e la gente torna a edificare abusiva in mezzo al niente, al bosco, alla palude.
Vincenzo Pagliuca è dal 2015 che fotografa queste case uniche, Mònos, in giro per l'Appennino dal quale proviene. Prima scattava in digitale poi ha fatto quell'atto di fede quasi monacale, contemplativo, che fanno gli artisti come lui per rendere al meglio: ha preso una macchina medio formato a pellicola e si è messo a pellegrinare questi luoghi più o meno nelle stesse ore, più o meno con le stesse inquadrature.
Guardate le case e ditemi cosa vi arriva. Non sono solo fotografie ma sono possibilità che non avete avuto, vite che non avete vissuto, strade che non avete imboccato. Sostenete questo progetto.

Ecco il link per prenotare il libro su Kickstarter



FUNNY INSTAGRAM
E FATTELA 'NA RISATA!
INTERMEZZO SOFT: @I_DIARI_DEI_BAMBINI

Ricordo bene le fasi di diario della mia adolescenza, dell'infanzia. Ancora oggi quando ho bisogno di buttare fuori, nei periodi in cui soffro di solito, scrivo diari.
Pagine che mai rileggerò. Mi pare fosse Sofia Loren che ogni dieci anni bruciava i suoi diari, o forse Ornella Vanoni, non ricordo, ma chiunque fosse lo comprendo. Le lagne invecchiano, vanno eliminate.
I diari dei bambini invece è una pagina stupenda perché mette in scena i diari prima dell'età adulta, privi quindi di quell'intento autocommiseratorio e riflessivo che i bambini si rifiutano di avere. I diari dei bambini sono degli squilli di tromba, arrivano dritti al cervello, fanno ridere. Però non si ride di loro, bensì della loro leggerezza, che spesso manca a tutti noi.
Io mi ci perdo in questa pagina, con ogni foto ci farei una maglietta. 25/11/06: mi sono depilata i baffi. Booom. questo si che è un ricordo che merita di essere ricordato.



segui: @I_DIARI_DEI_BAMBINI

Parlano Clementina e Agnese, fondatrici della pagina:
«Allora siamo due ragazze, Clementina e Agnese, siamo due studentesse e fino a luglio eravamo coinquiline.
Ci siamo conosciute così, da coinquiline, e siamo diventate amiche.
Io (cioè Clementina, che sta scrivendo in questo momento) ho sempre conservato il mio diario di quando ero piccola perché mi facevano molto ridere delle riflessioni che facevo. Ogni tanto, su Instagram o su Facebook, mi capitava di trovare qualche pagina di diario/temi scritti da bambini e li trovavo esilaranti. Con Agnese, una volta, a tavola, stavo parlando proprio di questo e ci siamo messe a cercare se esistessero dei profili che raggruppassero questo tipo di contenuti. Ci siamo rese conto che non c’era e allora, per gioco, l’abbiamo creato noi.
Inizialmente c’erano solo le pagine del mio diario (di Clementina), poi abbiamo sparso la voce tra i nostri compagni di università e i nostri amici e piano piano si è esteso sempre di più.
Adesso ci arrivano circa una ventina (se non più) di messaggi al giorno in cui gente da tutta Italia ci manda foto dei propri diari.
Siamo molto molto contente che quest’idea sia piaciuta a così tante persone e ci divertiamo molto a raccogliere le pagine di diario, anche se ci vuole un po’ di tempo e pazienza a spulciare tra le foto che ci mandano, catalogarle e poi trascriverle. Al momento abbiamo almeno 200 foto in sospeso da dover pubblicare ancora💀».

La cosa più assurda non saprei sinceramente, l’ultima foto che abbiamo messo (Barbie Brigate Rosse) a me (Clementina) personalmente ha fatto morire dal ridere e non vedevo l’ora di pubblicarla
segui: @I_DIARI_DEI_BAMBINI

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THE MAN NEXT DOOR
un libro fotografico di Rob Hornstra
testo di Sara Occhipinti

I was waiting for
something extraordinary to
happen
but as the years wasted on
nothing ever did unless
I caused it.
(Charles Bukowski)
Questa è la storia di Kid, ma anche di Rob.
Kid è quello che comunemente viene chiamato balordo.
Ogni città ha la sua schiera di balordi, lui è uno dei balordi di Utrecht. Nello specifico Kid vien da Ondiep, un quartiere operaio e di edilizia sociale austera, opprimente e in netto cotrasto con il vicino centro città addolcito dai canali e dalle abitazioni a candela.
Ondiep significa '”poco profondo” e il nome di questo rione sembra il marchio dei suoi abitanti che, “leggeri”, vivono di espedienti e piccole attività criminali, elaborando costantemente tattiche di sopravvivenza.
Come Kid.
Rob è un fotografo e un docente, si trasferisce a Ondiep nel 2004 e ci rimane per un decennio. Lì incontra Kid, il suo “man next door”, l’uomo della porta accanto, il vicino di casa.
Rob fin da subito non nasconde a Kid la sua intenzione di volerlo ritrarre a scopo documentaristico. Ad ogni modo Kid è disponibile a farsi fotografare e non ha alcun pudore nonostante i suoi denti tremendi. Non si perita della macchina fotografica neanche quando è impresentabile, come in le numerose volte in cui viene riportato a casa dalla polizia locale d in stato confusionale dopo una notte al gabbio.
Kid non è solo un dirimpettaio affabile, giocoso, strambo, che ha un serpente come animale domestico, ma è anche oscuro a suo modo. È intimidatorio, prepotente, irascibile, rissoso, ubriaco, fatto, criminale, come viene annotato in ognuno dei report della polizia che Rob riesce a recuperare e conservare accuratamente e che entreranno, almeno in parte, nel libro. Kid fa uso di sostanze pesanti (solo dopo lungo tempo Rob ne viene a conoscenza) ed è anche un padre che non può più vedere e vivere con suo figlio dopo il fallimento del suo rapporto con la madre. In casa, in mezzo a caos e serpenti, Kid ha con sé un album di fotografie che raccontano di un tempo finito e felice con la sua famiglia e che saranno anch’esse incluse nel libro.




Man Next Door, a dispetto delle evidenti e significative differenze socioculturali tra i protagonisti (peraltro per nulla rimarcate dall’autore), parla della relazione tra due amici.
In tutta la narrazione, Rob affianca l'esistenza ai margini di Kid testimoniata dagli stralci dei verbali, all'esistenza congelata dalle sue fotografie, registrata dal suo sguardo che non è mai dall'alto.
Il punto di forza, e di bellezza, del libro è questo costante e bilanciato confronto tra due punti di vista, quello del fotografo e quello della società, che, unendosi probabilmente restituiscono qualcosa di più completo su sul mondo instabile, ma vitale, pulsante, travolgente di Kid.
Rob di lui dice senza alcuna altezzosità: “Kid was a bit of a boorish figure – a troubled man with limited capacities”. Kid ha 42 anni, ma non ha consapevolezza e comprensione della sua vita che lascia scorrere, spreca, rovina.
Il retro di copertina riporta l'ultimo definitivo verbale, quello del 2013, che riferisce del ritrovamento di un uomo annegato in un canale.
Nota: Sebbene l’appartamento di Kid sia destinato alla demolizione secondo un programma dell'agenzia di housing, Rob riesce a trovare un accordo e mantenerlo “in vita” e diventa il suo studio anche dopo aver lasciato Ondiep nel 2011. Poche settimane fa l’edificio è stato infine demolito.



SPARIRE

Fermi tutti, lo so che per i fotografi questa roba qui è un must da dieci anni ma c'è anche gente che non segue il mondo della fotografia e pure loro hanno diritto a possedere dei grandi libri.
Alec Soth è stato l'artista che mi ha influenzato di più per Viaggio in Italia. Certo da lui non ho preso veramente niente, ma il suo pellegrinaggio umano in luoghi affini ai miei, mi ha ispirato più di ogni altra cosa. Vidi un documentario pazzesco e fu una delle prime opere digitali che comprai, conservo ancora il file un video di 750 megabite pagato trenta euro online nel 2012, quando ancora comprare online sembrava pericoloso.
Quel video raccontava il viaggio di Soth per Broken Manual (un volume ormai introvabile) in cui mostrava al mondo una serie di persone che vivevano fuori dalla società, deliberatamente. NOn sto parlando dei tanti homeless americani ma pittosto di alcune figure eremitiche simili al Throudeaux di Vita nei Boschi, degli anticonformisti radicali moderni che avevamo scelto di scollegarsi da tutto.
C'era il tizio che abitava una grotta nel deserto, l'altro che aveva ricavato una sorta di capanno da un container. Erano assolutamente degli outsider ma privi di ogni afflizione sociale. Pazzi si, ma radicacalmente consapevoli.

Questa è una foto di Soth

Questa è una foto mia
Penso sia una rimessa, un capanno di caccia, di sicuro sono i miei luoghi. Ci trovo una certa continuità con quella sopra, solo che io a differenza sua non so usare il medio formato, non ho un banco ottico, non ho il suo occhio. Però ecco intendo questo quando parlo di influenza.

cito un pezzo de Il Tascabile di Sara Marzullo
«Non un progetto sulla fuga, ma sulle fantasie che circondano quest’idea, Somewhere to disappear offre una descrizione di cosa significhi in termini pratici isolarsi dal mondo, ma, soprattutto, è un’indagine su chi siano i moderni eremiti: per realizzare il suo Broken Manual, dal 2006 al 2010 Alec Soth ha percorso decine di migliaia di chilometri (trentamila solo nel corso del documentario) attraverso deserti, montagne, strade secondarie, alla ricerca di container, grotte nascoste, uomini che avevano deciso di abdicare al mondo; ne ha incontrati e fotografati alcuni, ha provato a comprare una grotta, ci ha pensato un po’ su (cosa ne avrebbe fatto? cosa avrebbe detto la sua famiglia?) e ha lasciato perdere.
Inserito all’interno del volume di fotografie c’è una specie di manuale che spiega come svanire completamente: lo ha scritto Lester B. Morrison, eremita che Soth ha incontrato nelle sue peregrinazioni. In questa zine stampata su pagine verdi e rosa e piena di parole cancellate con il tratto sicuro dei pennarelli indelebili, Morrison scrive “Let this book be your guide. Over the last few years I’ve studied the experts of escape. Let us now praise these lonely men: hermits and hippies, monks and survivalists”. Sia lode a questi uomini solitari: sembra una citazione del libro di James Agee e Walker Evans, Let Us Now Praise Famous Men, che nel 1941 provarono a descrivere l’America della Grande Depressione».

il capolavoro da guardare in un ora.









LA MUSICA GIUSTA PER (DI)STRUGGERTI
una playlist di Valentina Kermit Cesarini
ASCOLTALA QUI

Purtroppo Mailchimp è un po' scemo e non mi ingloba un player come si deve di Spotify. La playlist è bellissima e potete ascoltarla qui. Il mio consiglio è navigare nel mare sterminato di playlist e musica che Valentina propone perché è sorprendente la vastità delle tonalità che contiene.
Mi ricordo anni fa quando mi fecero scoprire KLAX la radio dell'univerità di Berkley. Ci passavo le nottate e ascoltavo dall'ambient onirico al metal iraniano. Pazzesco.
Con la musica noi millennial funzionamo così, ci serve sempre uno che ce la passi. Di solito le cose migliori vengono da chi ne sa di più per questo ormai io semplicemente spulcio gli ascolti di Valentina e mi nutro solo di quelli. C'è di tutto, dai cartoni animati alle ballate, dalla roba per pompare a quella per piangere. Una garanzia.
Io ormai ho una sola radio del cuore e si chiama Valentina Kermit Cesarini.
CINQUE ANNI SENZA ALDO
di Dario Baldi

Il mondo del calcio e quello della televisione, in Italia, vanno di pari passo. Oggi ancora di più. Entrambi sempre più scadenti, melensi, scontati. Due mondi così belli e ricchi di potenziale, ma diventati così noiosi e politicamente corretti tanto da far annoiare anche i più fedeli amici del telecomando. Ormai non ci sono più neanche le telefonate erotiche dopo le 23.
Davanti a questo decadimento totale solo una persona sarebbe stata capace di risintonizzarci davanti ai piccoli schermi: Aldo Biscardi. Quel ciuffo arancio di Larino, scomparso cinque anni fa, ci avrebbe risvegliato da un torpore dove persino Marco Bellavia fa notizia. Che poi chi cazzo è Marco Bellavia?
Biscardi è stato giornalista, conduttore, autore, creatore di quel teatro che era il “Processo”. Ha cambiato emittenti, titolo al programma, ma il suo processo è stato IL programma della televisione sportiva italiana e non.
Biscardi era esperto di commedia dell’arte. Un genio senza scaletta, ma con solo un canovaccio di idee. Il primo e unico re del calcio parlato. E’ riuscito a portare nei suoi studi chiunque. Da grandi calciatori come Maradona, passando per tutti i presidenti e allenatori, fino a grandi statisti e politici come Andreotti e Pertini. Il suo salotto era l’arena di battaglie continue, urla, “accavallamenti” ma anche notizie.
Aldo Biscardi era un torero della televisione capace di aizzare il suo studio con le mani mentre predicava e “domava” tutti con la bocca. I suoi “sgub” tenevano migliaia di telespettatori incollati, i suoi inglesismi erano un marchio di fabbrica come “dengiu” a “scempion lig”.
Ci vorrebbe oggi un Biscardi. Perchè quella tanto sognata Moviola in Campo (MIC) dal giornalista con ciuffo arancio è arrivata, si chiama VAR e ci fa annoiare dannatamente dietro a proiezioni ortogonali sul fuorigioco, review continue e ci fa litigare sempre di meno.
La tv invece, specie quella dei salotti del calcio, si è uniformata con trasmissioni piatte dove tutti dicono banalità, nelle quali calciatori e allenatori parlano con frasi standard passate sottobanco da uffici stampa sempre più presenti e dove la notizia è la lunghezza delle gonne del gentilsesso presente in studio.
Aldo era show e spettacolo. Senza grandi mezzi tecnologici si collegava ovunque, faceva intervenire Silvio Berlusconi in diretta e gli rispondeva a tono, pretendeva lo scontro tra gli ospiti stimolando il pubblico sulle tribunette e poi urlava il suo “non vi accavallate. Parlate in tre o al massimo in quattro che sennò non si capisce niente”.
Rimandateci Biscardi. Sennò qua ci annoiamo.
P.s Aldo Biscardi era talmente visionario da invitare il futuro Presidente del Senato, Ignazio La Russa come opinionista.
MANUELAGNELLO DI SE STESSO. IL TOP.

È davvero difficile interfacciarsi con un disco del genere. Un po' perché è anacronostico, barocco e tragico allo stesso tempo, troppo manuelagnellano, nell'era della trap, della drill, dei campionamenti, queste ballatone piano e voce ricordano più il cantautorato degli anni 60 rifatto nei duemila che altro, sono davvero impegnativi da catalogare mentalmente che siamo distratti da mille suonini, da jingle, da tormentoni.
Il disco è fuoriluogo rispetto ai tempi anche tematicamente, non parla di bitches, non parla di bro, non parla di soldi e di Louis Vuitton, oppure non parla di amori corrisposti. Sono quasi tutti pezzi super introspettivi su amori tragici, mancanze, non c'è nessuna apologia del dolore o mitizzazione del suddetto per migliorare o migliorarsi. Sembra Houellebecq o Cioran, si soffre punto e basta.
Però ci son pochi cazzi: è bellissimo. Non c'entra niente con la musica di oggi, è una manuelagnellata all'ennesima potenza, è pesante, tutto feedback e pianoforti col riverbero, a volte è troppo ripetitivo dei versi che gli sentiamo fare da vent'anni ma c'è da dire che quei versi bene come lui non li fa nessuno. L'unico a cantare di amore ed erezione maschile senza sfigurare, l'unico a essere davvero romantico (Per le tue mani arrendermi
Per il tuo culo vendermi, oppure
Non sono un grande uomo, il cuore è puro, Purtroppo il cazzo è sempre duro).
Ho scoperto che i suoni son quasi tutti fatti con attrezzi che aveva in casa durante il lockdowon, dalle catene alla tazza del cesso. Niente da dire, che fosse un manico si sapeva.
Menomale che non sta più in tv a X Factor e che sfrutta la popolarità che ha avuto per tirar fuori certe perle.

«Per le tue mani arrendermi
per il tuo culo perdermi
mi troverai in ogni vita che vorrai
io volevo solo te lo sai
io ho voluto solo te così»
Se vuoi amore, accettalo
Non lo sprecare, sfamalo
Mi troverai, non saprai dire cosa sia
Ma non vorrai più andare via
Non andare via anche dentro
Tu non dovrai più andare via
Questa volta non andar più via
Farsi del male è splendido
Perché esser vivi è splendido
Mi troverai in ogni uomo che vivrai
Non sentirti in colpa se non mi amerai
Non sentirti strana se non mi amerai».
(Tra mille anni mille anni fa)
«Cerca, forse trovi, quello che non c'è
Ma se non cerchi niente prova me
Signorina mani avanti, non vuoi ragioni
Perché senza un piano non hai delusioni
Portami via da me, lontano da terra
Sai, voglio esplodere come una stella
Se non provi niente prova me
Se non cerchi niente trova me»
(Signorina mani avanti)
«Beh, mi manchi e qui a Milano c'è la peste
È per questo che mi gira un po' la testa
Non ti ho mai lasciato andare veramente
Non ti ho mai avuto che nella mia mente»
(A Milano con la peste)
«Gira la voce che tu sia sbagliata
Questo è l'inganno della rivoluzione
Cambia il tuo futuro, ma lo cambia a modo suo
Cerca, forse trovi, quello che non c'è
Ma se non cerchi niente prova me»
(Signorina mani avanti)
Col tempo io ho imparato
Che se il tuo amore è sterile è meglio sia amputato
(Proci)
«Ma com'era baciarmi le labbra
La pelle, sentirti sola più che mai?
Mentre lui ti ridava la vita
E forse così la ridava un po' anche a me
Tutti hanno un segreto in cuore
Che è sbagliato scoprire
Tu ne hai uno per me, amore
E chissà se per lui sono io»
(Ama il prossimo tuo come te stesso)
So che cerchi un nuovo me
So che cerchi un nuovo Dio
So che cerchi una speranza
Beh, lo sai, la cerco anch'io
E non senti più i sapori
Ti ricordi almeno il mio?
È tardi per chiamarlo amore
È tardi per chiamarlo amore
Ogni giorno, ogni sera
Faccio solo quel che so
Sia lo sposo sulla torta
La scommessa andata storta
Cavaliere senza testa
Non ti serve, sei la via
Come in mezzo a una tempesta
Tu sai già come si fa
Io so già come si fa
Io che piango, tu che speri
È tardi per chiamarlo amore
È questo che tu chiami amore?
È questo
Cancelliamo quel che sai
Gli anni che hai buttato via
Cancelliamo anche i silenzi
Succhia idee la testa mia
Succhia tutto quel che vuoi
È tardi per chiamarlo amore
È tardi per chiamarlo amore
È tardi per chiamarlo amore
Ti ho sognato in un giardino
Ho dormito come un santo
Il tuo odore è ancora qui
Quello mi piaceva tanto
(Lo sposo sulla torta)
SGARBI IN GAS
intervistona di Cazzullo sul Corriere

ll Parlamento senza Vittorio Sgarbi.
«Sarà un’aula sorda e grigia».
Un bivacco di manipoli.
«Scherzi a parte, i Parlamenti non contano più niente. Contano solo i governi».
Lei entrò a Montecitorio nel 1992.
«C’erano ancora i comunisti, di cui diventai subito amico. Bellissimi: Napolitano, Chiaromonte, Trombadori, che era più craxiano di Craxi».
Poi c’era Craxi, quello vero.
«L’animale ferito. Fui il solo, quando Bettino chiamò a correi tutti i deputati per Tangentopoli, ad alzarmi a dire che aveva ragione lui. Fu allora che mi notò Berlusconi».
Andreotti?
«Dalla tribuna di Palazzo Madama gridai “assassini!” ai senatori democristiani che votavano per mandarlo a processo per mafia. Si offese Arrigo Boldrini, vecchio capo partigiano: pensava che ce l’avessi con lui per la strage di camicie nere a Codevigo».
Nel 2001 lei divenne sottosegretario alla Cultura.
«La destra aveva vinto nettamente, come oggi. E, come oggi, mezza Europa gridava al fascismo; in particolare i francesi. Li affrontai».
Come?
«L’Italia era il Paese ospite al Salone del libro di Parigi. Per il nostro stand feci ricostruire la Biblioteca palatina di Parma: la più bella del mondo. Catherine Tasca, figlia del fondatore del Pci, ministra della Cultura, che aveva giurato di non stringere mai la mano a Berlusconi, a me la strinse; ma dietro di lei c’erano i centri sociali, aizzati dallo scrittore Philippe Sollers e dal mio amico Bernard-Henri Lévy, che fecero una gazzarra pazzesca. Finimmo su tutte le tv d’Europa».
Lei è amico di Lévy?
«Da 35 anni. Ho portato il suo film a Venezia, ho presentato il suo libro su Sartre, che è meraviglioso. Ma di politica Bernard-Henri non capisce e non vuole capire nulla».
Perché?
«Perché è un filosofo, ed è del tutto disinteressato alla verità. Lo interessa solo la rappresentazione. Comunque quella volta a Parigi capii che, per essere accolti degnamente in Europa, occorreva un gesto di conciliazione».
E quale fu?
«Il grande museo della civiltà ebraica di Ferrara. Approvato all’unanimità dal Parlamento, primo firmatario Franceschini. Ora la Meloni dovrebbe fare la stessa cosa».
Cioè?
«L’errore fatale del fascismo furono le leggi razziali. Il nuovo governo dovrebbe erigere memoriali nei luoghi delle storiche comunità ebraiche spazzate via dalla deportazione: Pitigliano, Livorno, il ghetto di Venezia, Casale Monferrato... Poi serve un segnale sui migranti».
I migranti?
«I clandestini vanno fermati. Ma quelli che sono già qui non li puoi chiudere in un campo di concentramento. Devi metterli al lavoro nei borghi che stanno morendo, nelle botteghe che chiudono. Come ha fatto Mimmo Lucano».
Oltre alle leggi razziali, il fascismo ha commesso molti altri crimini ed errori.
«Vero. Ma ha costruito quartieri e città. Però soltanto Asmara, in Eritrea, è patrimonio dell’umanità, perché l’ha chiesto un inglese. Noi dobbiamo far diventare patrimonio Unesco la Sabaudia cara a Pasolini, l’Eur scenario felliniano, Tresigallo la città di fondazione studiata da Diego Marani, uomo di sinistra, direttore dell’Istituto di cultura a Parigi. La destra italiana finora è stata definita da un’identità dannata. Ora deve rivendicare gli antenati. Perché la grande cultura del Novecento italiano è a destra».
A chi pensa?
«Pirandello e Marconi. Giuseppe Berto e Alberto Burri, che erano insieme nel Fascist Criminal Camp in Texas: irriducibili. Ma anche tanti conservatori: Giovanni Guareschi, Giorgio De Chirico, Ennio Flaiano, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Carmelo Bene, Gino De Dominicis...».
Cosa c’entra De Dominicis?
«Mi chiedeva sempre di presentargli Berlusconi... Giorgia è cristiana? Celebri Giovanni Testori, di cui nel maggio prossimo cade il centenario della nascita. E poi Antonio Delfini, con il suo Manifesto per un partito conservatore e comunista».
Comunista e conservatore non è un ossimoro?
«Per nulla. Pasolini non era forse un comunista conservatore?».
Lei ha votato la fiducia al primo governo Conte.
«Vero. Dissi: “Vedo il vostro futuro: disordine e ignoranza. E io, nel disordine e nell’ignoranza, prospero”. Fui facile profeta».
E non ha votato la fiducia a Draghi.
«Lui ci rimase malissimo. Mi chiese: perché ti sei astenuto?».
Già, perché?
«Il suo era il più politico dei governi; mentre credo che la Meloni farà un governo molto tecnico. Draghi aveva nominato ministri i capi dei partiti, anzi i capi delle correnti, per salire dopo un anno al Quirinale. Non è andata; e il suo governo è finito allora».
Casini l’ha sconfitta nel collegio di Bologna, e lei si è vendicato con una battuta crudele.
«Ho solo detto che lui ha visto in vita sua una frazione della f. che ho visto io. Ma ho sbagliato. Se mi fanno ministro, prometto che per cinque anni eviterò l’argomento; di cui peraltro Casini è cultore appassionato. Anche se io mi confronto semmai con le millecinquecento donne di Mitterrand».
Di chi è il record?
«Castro: 35 mila».
Ma gliele portavano.
«Sì. Però la sua fu una leadership anche erotica. Pensi anche al mito di Che Guevara, il James Dean rosso. Questa è una cosa che mi ha insegnato il mio unico maestro: Francesco Cossiga. Il sesso della politica. Un leader deve essere sexy, nel senso di attrattivo, seduttivo. Craxi era sexy, Berlusconi era sexy. Letta non è sexy, e ha perso. La Meloni è sexy, e ha vinto».
Lei vuol fare il ministro?
«Mi piacerebbe, ma non della Cultura; del Patrimonio. Il modello è l’ultimo statista italiano ad aver incrociato politica e cultura: Spadolini. Fu lui a volere il ministero dei Beni Culturali. In cui dopo hanno infilato di tutto: turismo, spettacolo, sport... Ora la Meloni dovrebbe tornare alla tripartizione spadoliniana».
Sarebbe?
«Primo: Istruzione. Secondo: Università, Ricerca e Cultura: mostre, musica, convegni. Lì ci vorrebbe un Cacciari di destra. Terzo: Patrimonio. Come in Francia. Un ministero che si occupa dei beni: musei, chiese, quadri. Per farli diventare idee. Il patrimonio genetico della nazione».
Addirittura.
«Michelangelo e Caravaggio siamo noi. I grandi artisti che hanno fatto l’Italia vivono dentro di noi. Solo che noi non lo sappiamo. Quindi: musei gratis. Come a Londra. Una grande operazione popolare. Perché un napoletano deve pagare per entrare a Capodimonte, un milanese a Brera? Gli Uffizi non devono fare causa a Jean-Paul Gaultier, quando si ispira alla Venere di Botticelli; perché allora dovremmo chiedere i danni agli eredi di Warhol, che riprodusse il Cenacolo di Leonardo. Da sempre l’arte genera arte».
Altre idee?
«D’intesa con il mio amico Elon Musk, possiamo far mettere le sue tegole fotovoltaiche su tutti i tetti degli edifici moderni. Diventeremmo una superpotenza energetica».
Cosa intende per moderni?
«In Italia abbiamo 25 milioni di edifici. Dodici milioni sono stati eretti prima del 1959: dai templi di Agrigento alla villa costruita a Sabaudia da Tommaso Buzzi per il conte Volpi: l’ultimo edificio degno di questo nome. Quelli li dobbiamo difendere con le unghie e coi denti».
E gli altri tredici milioni?
«Tutti fatti dal 1960 in poi. E tutti possono mettere sui tetti le tegole di Elon Musk».
È amico pure di Elon Musk?
«Ha diffuso il mio discorso a Montecitorio sulla libertà in decine di lingue, compreso il cambogiano. L’hanno ascoltato in 260 milioni».
Ora che lei non ha più lo scudo del Parlamento, non teme la rivincita di qualche magistrato?
«Io non ho paura di nulla. Mi difendono le mie idee».
Non possiamo non ricordare la canzone che le dedicò Dagospia, sulle notte di Vecchio scarpone: «Vecchio Sgarbone quanti quadri hai rubato/ e quanti libri non si trovano più...».
«Ho 280 mila libri. Tutti donati o comprati: nessun critico d’arte ne ha tanti. Il resto è privo di senso. Sono pure diventato amico di Tonino Di Pietro, dopo che l’ho risarcito per chiudere le nostre cause».
Quanto?
«Me la sono cavata con 300 mila euro. Il valore di un pregevole quadro barocco».
Qual è il più bel quadro del mondo?
«Las Meninas di Velazquez. Dentro c’è la pittura di ogni tempo: Giotto, Manet, Bacon».
Era una domanda trabocchetto. Gliela faccio da 25 anni, e lei ogni volta cambia quadro. L’ultima volta aveva indicato la Pala di Brera di Ercole de’ Roberti, «un Piero della Francesca inquieto».
«Non volevo cadere nel conflitto di interessi: sto cercando di portarla alla grande mostra sul Rinascimento a Ferrara che sto allestendo per il prossimo febbraio».
FRATELLI TOMBINI
JACOPO MASINI SCRIVE DI UN LIBRO SUPER. LA STORIA DEI TOMBINI.

Ci sarebbero così tante cose da dire, a partire da un singolo tombino, che ne scriverò solo alcune, cercando di fare meno confusione possibile. Non so se ci riuscirò, ma questo vuole essere solo uno spunto di riflessione, un sasso gettato nello stagno della nostra progressiva e inarrestabile incapacità di osservare - non dico contemplare - le cose che abbiamo sotto il naso. Letteralmente sotto il naso, in questo caso.
L'occasione me la dà 'Tombini d'Italia' di Alfonso Morone, libro destinato a diventare oggetto di culto, pubblicato a maggio 2022 da LetteraVentide Edizioni di Siracusa.
Non è un romanzo, non è la parodia di un saggio, non è un divertimento letterario. È un magnifico libro, anche dal punto di vista cartotecnico e iconografico, sui tombini. Proprio sui tombini, cioè sui coperchi di ghisa che costellano le nostre città, le nostre campagne, le vie laterali, i campi, le spiaggie, i lungomare, le baite, insomma, ogni singolo pezzo di terreno del nostro paese e, più in generale, di qualununque nazione o città o paese industrializzato del pianeta Terra.
In questo caso è un repertorio dei nostri tombini d'Italia, che sono certamente più utili e meno ottusi dei Fratelli, dal momento che sono funzionali, refrattari a inutili mutamenti o a metamorfosi estemporanee (tipo il vezzo di trasformare l'appellativo camerati in patrioti, che fa più figo) e rappresentano, come scrive Morone all'inizio, "una delle più diffuse tracce dell'impatto della tecnologia sul complesso urbano".
Sono fatti di ghisa, materiale riciclabile all'infinito come il vetro; in alcuni casi sono fermi al loro posto da duecento anni, dal momento che la loro funzione non è cambiata; meglio di qualunque altra cosa raccontano la nascita e lo sviluppo della città industriale e tecnologica, che ha iniziato a usare il sottosuolo per le reti idriche, lo stoccaggio di materiali, le reti elettriche, alle quali si accede appunto dai tombini (il Sottosopra di Stranger Things, in altre parole); stanno sotto i nostri piedi e si chiamano, a seconda delle funzioni, chiusini, caditoie, grate o botole; portano incisi il design, l'araldica o il nome di qualcuno: un Comune, un regime (quelli fasci stanno ancora lì), il nome della ditta che li produce; sono la valvola tra la pelle e la carne del mondo. E noi non ci fermiamo mai a guardarli.


È un po' la stessa cosa che accade coi soffitti. Noi occidentali euclidei viviamo dentro scatole - appartamenti, uffici, automobili, ospedali, ecc... - e abbiamo smesso per ragioni funzionali - quindi pigre - di abbellire i soffitti. Ci avete fatto caso? Una volta i soffitti erano affrescati,dovevano liberare lo sguardo, farlo evadere dalla scatola, con cieli, paesaggi, personaggi, storie. Adesso niente: solo la scatola. E noi abbiamo smesso di guardre in alto, anche il cielo quando siamo all'aperto. Ma abbiamo anche smesso di guardare in basso come i flaneur pensierosi che visitavano a zonzo lo spazio urbano. Guardiamo avanti, dritto davanati a noi, laddove immaginiamo obiettivi, dove vediamo il futuro (che secondo gli Egizi era alle nostre spalle, dal momento che non possiamo vederlo; il passato era davanti a noi, invece, visto che possiamo vederlo).
In altre parole, abbiamo smesso di contemplare i soffitti e non ci fermiamo mai a guardare i tombini. Ed è un peccato, perché i tombini raccontano un sacco di storie e questo libro, più avventuroso e interessante di quasi tutti i romanzi italiani usciti negli ultimi vent'anni, ci restituisce lo sguardo, il tempo, il fascino di una funzione immutabile e del design applicato a un oggetto calpestabile, riconsegnandoci anche la capacità di guardare. Io, ad esempio, dopo avere letto l'introduzione di Giulio Iacchetti e Matteo Ragni, che hanno vinto il Compasso d'Oro nel 2014 per aver ridisegnato i tombini dell'azienda italiana Montini, che aveva appena inventato una ghisa di nuova generazione, più leggera delle precedenti, e che voleva tombini con un nuovo design, ho cominciato a guardare i tombini in cui mi imbattevo. Iacchetti e Ragni hanno immaginato impronte di penumatici, piccole gocce di pioggia e impronte di immagignifici uccellini per le aree verdi e le hanno applicate ai tombini della Montini. Ci avete mai fatto caso? Magari ne avete visti, in giro.
Io, dopo aver letto Tombini d'Italia ne ho trovato subito uno con le impronte degli uccellini dentro l'ospedale di Parma. Ho ricominciato a guardare dove cammino. Ora mi toccherà affrescare il soffito.

STUPIDERA



























Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.

«Sapevo che le code mi stavano uccidendo. Non riuscivo ad accettarle, al contrario di tutti gli altri. Tutti gli altri erano normali. Per loro la vita era bella. Potevano far la coda senza provare dolore. Potevano mettersi in coda e starci per sempre»
da A sud di nessun nord (Feltrinelli)
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