BENGALA #70 - COMANDO DI RIENTRO PER UMANI DISORIENTATI
L'estate sta finendo e un anno se ne va
Sto diventando grande lo sai che non mi va
In spaggia di ombrelloni non ce ne sono più
È il solito rituale, ma ora manchi tu
La, languidi bri, brividi
Come il ghiaccio bruciano quando sto con te
(Righeira)
***
La vita cambia in fretta.
La vita cambia in un istante.
Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.
(Joan Didion)
ACHTUNG! - se è troppa roba skippate, - siccome queste email son lunghe apritele nel browser altrimenti gmail le taglia - se vi piace Bengala, inoltratelo a un amico o sharatelo sui social, PORTATE NUOVI ISCRITTI NEL FIGHT CLUB!
EDITORIALE UMORALE
Lo chiamano il weekend del rientro perché per un attimo eravamo stati espulsi da qualcosa. Il rientro come concetto, come metafora, dice tutto.
Si esce dal grembo materno per non tornarci mai più, poi ci si ricrea ad imitazione un bel guscio arredato che diventa la nostra vita e da quella usciamo per piccole gite fuori porta. Prima l'amore arrivava dal tubo dell'ombelico, sgorgava in continuazione, ora l'amore lo chiudiamo nel guscio a doppia chiave quando lo troviamo, dobbiamo generarlo noi, portarcelo in casa da fuori e risulta quasi estraneo, spaventa.
Rientrare a settembre è sempre un dramma, ci sembra di essere orfani della pace che si era appena trovata nello stacco da tutti. In realtà è solo una sbronza illusoria. Se ti prende male il lunedì, vuol dire che non stai facendo le cose come devi farle. Pure se ti prende male la domenica.
Il sogno va costruito sulla Terra, il Paradiso deve essere in terra. Nel presente. Che non vuol dire andare a vivere in un fottuto van in posti fighi e campare non si sa come. No, vuol dire stare a galla in questa merda. Qualsiasi vacanza sarà estatica se la vita vera non le somiglia nemmeno un po'. Vado in vacanza tutti in giorni quando entro in un Bar Degrado, quando ascolto lo sproloquio di qualcuno alle macchinette o quando vedo il sole a picco sul mare e tutto luccica.
Dico questo però ancora spesso mi sogno il deserto o la giungla e mondi visti solo una volta che mi mancheranno per sempre.
L'importante è l'incoerenza.
Questo numero è dedicato ai sopravvissuti all'estate, agli amori bruciati, al sudore e alle tossine che hanno espulso cercando qualcosa che non possono trovare.
Mi viene in mente Merseault de Lo straniero di Camus che gli era morta la mamma e vagava mesi dopo, aveva anche una fidanzata, e vagava su una spiaggia assolata col la luce accecante e zenitale. E gli venne incontro l'arabo, minaccioso forse, c'era così tanto sole che i rumori non si sentivano e Mersault lo ammazzò. Senza sapere perché, senza essersi mai macchiato di una colpa tutta la vita. Ed era vittima anche lui quanto il morto, infatti lo condannarono alla pena capitale e quando è al processo alla sbarra e tutti lo giudicano, tutti lo schifano: tutti fanno più schifo di lui.
Merseault ammazzò l'arabo perché il sole lo stava facendo ribollire, gli mandava in tilt i pensieri, lo accecava e gli provocava allucinazioni. Come è nella realtà. Il sole estivo ci spappola i sensi.
Il dolore ce lo portiamo dentro richiuso in una scatolina di metallo, pesa tantissimo e non lo possiamo mai tirare fuori. Quando succede crolla il mondo.
Quando qualcuno capisce il nostro dolore ce ne innamoriamo.
Quando qualcuno lo cura gli dobbiamo la fede a vita.
Quando tuona nelle notti inulti e sei solo è solo la nostra palestra che ci ricorda di pompare. L'estate è la sospensione di tutto. Ce ne stiamo mezzi nudi a vagare scalzi e sudati, irrorati dalla luce di tramonto nel mare a baciarci nell'acqua, mezzi morti al baretto delle due del pomeriggio con quaranta gradi allucinogeni. La gente profuma di crema solare o puzza di sudore, la gente è scoperta. Con quel caldo potresti andare in giro nudo, sudore e piscio diventano la stessa cosa, se durasse tutto l'anno smetteremmo di lavorare, di far qualsiasi cosa di pratico, diventeremmo matti.
«Riesco a fare davvero poco
Due passi e mi rifermo
Anche la gatta pare spossata dal
Mio continuo cambiare giaciglio
Il letto, la poltrona, il divano
rotolo, mica cammino, mi spingo
e lei miagola di scontento venendomi dietro
Mi monta sul petto fa le fusa
Mi struscia il capo è il suo amore perpetuo.
La disturbo quando passo in corridoio
col mio macigno incatenato alla schiena
incurvato, a fatica mi trascino appresso
incisto 'sto stupido solco al suolo
(si sciupa! che fai t'ho detto si sciupa!)
una pietra antica appuntita (buca!)
un sasso irto due metri
tre volte il mio peso
e io come un cretino che me lo tiro appresso
invisibile agli altri ma non a lei.
(ma che minchia fai?)
Raschio le piastrelle c'è da tapparsi le orecchie
la gatta si scosta non lo capisce, per lei è alieno,
ma rimane. Lei sola rimane nella notte del fumo
del caldo che non dormo, del cane.
Non ha bisogno di capire per amare.
Non c'è bisogno di capire per amare».
Giamma e Yuri, agosto 2022.
foto Archivio Banhoff
A volte arrivo di là, apro il frigo e non mi ricordo cosa stavo cercando. Sono distratto, passo troppo tempo a dovermi sbattere di cose per cui non mi interessa niente. Sono tutte chiacchiere, tutti ronzii, tutte stronzate. La gente si affanna, scalcia, ti monterebbe in testa per niente, hanno tutti il pepe al culo e nessuno vuole stare fermo e guardarsi dentro. Tanto rumore per le stronzate che potremmo risparmiarci.
Quindi:
Abbiamo bisogno di eroi, di gente per bene, il mondo dell'affermazione personale passa per tappe di degrado che ti costrinogono a rapportarti con gente che ti sballa il karma. Per questo vai in vacanza, per farti scendere dai coglioni quelli che te li pestano con le loro boiate.
Quindi esco di casa, vado a fare le foto a dei ragazzi di venticinque anni che vivono pieni di gatti e cani e fumano quest'erba che io non farei mai ma è uguale. Uno ha 17 anni, mi dice subito che è ricchione, dolcissimo, dislessico, con l'insegnante di sostegno. Bello, proprio buono, somiglia a Elvis bambino. Sta col cugino e lo zio in vacanza e mi offrono crocchette delle galline mentre l'obeso cane Giorgio tutto ansimante lecca la testa al gatto e Giamma lo carica, gli dice: fagli lo shampo. Fagli lo shaampo. ridiamo. fa molto ridere lo shampoo al gatto con la lingua del cane.
Sono tutti artisti, sono la gente a cui appartengo io. Ma non artisti stile Patti Smith che c'ha fatto un cazzo grosso come un pandoro con la sua missione da artista, artisti dico che vivono a Lamporecchio.
Scrive Caproni: «Un dubbio/ che i poeti cosidetti "minori"/ siano gli unici veri poeti?».
Caproni ha scritto un sacco di roba sopravvaliutata, ma questa c'ha dato.
La mia non è la logica del mercato equo e solidale, del chilometro zero della cultura. Non è che se è underground è meglio, mi fa schifo l'indie pure tutto, le nicchiette massoniche degli amichetti che si recensiscono a vicenda e basta. Mi fa schifo anche la parola cultura, andrebbe tolta dall'amministraizone pubblica, dai ministeri, dagli uffici, dai musei, dai programmi. Io sono un drogato di persone, anche se faccio la vita dell'eremita. Finché la cultura sarà una parola di quella gente lì no voglio averci nulla a che fare.
Ma anche quest'anno comincia.
Con quest'anno tornano i buoni propositi.
Vorrete leggere, curiosare, cercare cose belle. E ancora una volta Bengala vincerà sulla concorrenza delle pagine culturali delle nostre palle. Siamo troppo avanti, perché non abbiamo tempo di stare li a menacelo. Facciamo le mamme, i maestri, i dottori, siamo giovani, siamo vecchi, siamo gente normale non c'abbiamo cazzi di leggere Il Sole 24 Ore della Domenica che è una palla unica e vi consiglia quelle menate esistenziali che gli passano gli uffici stampa dai.
Solo roba buena.
Solo Bengala.
Buon rientro.
BREAK
Quando il Capitalismo era buono.
«Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati : bossi ligustri o acanti.
Io, per me, arno le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni».
(Eugenio Montale, I limoni)
COMANDO DI RIENTRO PER UMANI DISORIENTATI
testo di Stefania Laila Marinelli
foto Archivio Banhoff
Per la maggior parte di noi sono finite le vacanze e ora, dopo giorni di totale rilassamento (si spera) e di grande lassismo d’orari, ci viene chiesto di rientrare dentro gli schemi di un ordine prestabilito di esistenza. Purtroppo il ritmo della nostra vita quotidiana non corrisponde a quello che esiste dentro di noi: il Cielo astrologico, che esprime a livello simbolico la nostra interiorità, manifesta sempre nel mese di settembre un rallentamento potente, un senso di introversione, una spinta alla contemplazione.
Studiando l’Astrologia in modo intuitivo, spirituale ed evolutivo, ho sempre notato questa dicotomia tra la necessità di raccoglimento e la chiamata post-estiva all’azione. Entro il 10 settembre raggiungeremo il picco di questo movimento, mentre lottiamo per mettere insieme volontà e manifestazione, recalcitrando dagli impegni quotidiani con mente confusa e frastornata.
Non si tratta di entrare in una grotta ed esentarsi dalla vita materiale, ma di accompagnare se stessi con un ritmo più vicino alle nostre ritrosie stagionali, di darsi il tempo di stare nel silenzio, rientrando a poco a poco nel campo esistenziale attivo e produttivo.
E se ci accorgessimo di voler cambiare quel ritmo, di impostare una nuova prospettiva, che assomigli di più alla risposta che desideriamo donare dal profondo al mondo esterno? Ricordiamoci che il mondo esterno è frutto dei nostri pensieri, creato dal mentale collettivo di cui facciamo parte. Cambiando il nostro ordine interiore, si trasforma la manifestazione. La principale responsabilità di un umano è di rendere se stesso felice. Attenzione! Non confondiamo questo con ciò che viene definito egoismo. Quest’ultima è una parola che nasce dalle relazioni manipolatorie a cui siamo agganciati nel ruolo di vittima/salvatore/carnefice. La propria felicità è quanto di più spontaneo nasce dal cuore, quando ci lasciamo liberi di esprimere i flussi creativi della nostra bellezza interiore. La propria felicità è libertà individuale, un concetto estremamente alieno alla maggior parte di noi. E se per una volta ci appropriassimo di questo potere?
L'ANNO DEL PENSIERO MAGICO
Era una vita che non sbranavo un libro, che non leggevo qualcosa ingoiandolo d'un sorso.
E non avrei mai creduto che mi sarebbe successo con un libro così intriso di dolore, di vita che se ne va.
Chi conosce Joan Didion può tranquillamente saltare quanto segue. Per chi non la conoscesse basta sapere che questa grandissima giornalista e scrittrice americana ha è stata protagonista di un periodo pazzesco della sua vita ed è riuscita a scriverne. Il giorno di Natale mentre prepara un cocktail in cucina suo marito ha un infarto e muore.
Negli stessi giorni la figlia era in ospedale per una polmonite che continuava a dare rogne.
Joan non farà in tempo a vivere il lutto della perdita di suo marito perché dovrà attendere anche la morte di sua figlia nell'anno di un anno.
È tutto descritto con una calma e un silenzio e una forza che anche il dolore è sopportabile in L'anno del pensiero magico (Il Saggiatore). Assolutamente una delle cose più belle che ho letto.
il libro inizia così:
La vita cambia in fretta.
La vita cambia in un istante.
Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.
Il problema dell’autocommiserazione.
Ecco le prime parole che scrissi dopo che accadde. La data del file di Microsoft Word sul computer («Note sui cambiamenti.doc») è «20 maggio 2004, ore 23.11», ma quello dev’essere stato il momento in cui, dopo averlo aperto, ho schiacciato prudentemente il tasto per salvarlo. Non avevo fatto cambiamenti in quel file, in maggio. Non avevo fatto cambiamenti da quando avevo scritto quelle parole, nel gennaio 2004, un giorno o due o tre dopo il fatto.
Per molto tempo non scrissi altro.
La vita cambia in un istante.
Un normale istante.
***
John stava parlando, poi smise di parlare.
A un certo punto, nei secondi o nel minuto che passò prima che smettesse di parlare, mi aveva chiesto se per il secondo aperitivo avevo usato lo scotch single-malt. Io avevo detto di no, avevo usato lo stesso scotch che avevo usato prima. «Bene» aveva detto lui. «Non so perché, ma non credo che li dovresti mescolare». In un altro punto di quei secondi o di quel minuto mi aveva spiegato perché la Prima guerra mondiale era l’avvenimento cruciale da cui derivava tutto il resto del ventesimo secolo.
Non ho idea di quale fosse l’argomento, lo scotch o la Prima guerra mondiale, nell’istante in cui smise di parlare.
Ricordo solamente che alzai lo sguardo. Aveva una mano alzata, la sinistra, ed era immobile, afflosciato su se stesso. In un primo momento pensai che volesse farmi uno scherzo, che fosse un tentativo di far sembrare meno opprimente quella brutta giornata.
Ricordo che dissi Non fare così.
***
Stando alla datazione del computer, il file intitolato «AAA Pensieri a caso» era stato modificato alle 13.08 del 30 dicembre 2003, il giorno della sua morte, sei minuti dopo che io avevo salvato il file che finiva con le parole come fa un’«influenza» a trasformarsi in un’infezione estesa a tutto il corpo? Lui doveva essere nel suo studio e io nel mio. Non posso non vedere dove mi porta tutto questo. Avremmo dovuto essere insieme. Non necessariamente in un’aula al centro di Giava (non mi faccio tante illusioni, su nessuno dei due, per arrivare a credere che quello scenario possa restare intatto, e comunque ciò che intendeva lui non era un’aula al centro di Giava), ma insieme. Il file intitolato «AAA Pensieri a caso» era lungo ottanta pagine. Cos’avesse aggiunto o modificato e salvato alle 13.08 di quel giorno, non posso saperlo.
che quello scenario possa restare intatto, e comunque ciò che intendeva lui non era un’aula al centro di Giava), ma insieme. Il file intitolato «AAA Pensieri a caso» era lungo ottanta pagine. Cos’avesse aggiunto o modificato e salvato alle 13.08 di quel giorno, non posso saperlo.”
Passi di
L'anno del pensiero magico
Joan Didion
Quintana Roo Dunne, John Gregory Dunne e Joan Didion (foto John Bryson dal documentario «Il centro non reggerà», Netflix)
Il dolore risulta essere un posto che nessuno conosce finché non ci arriva. Noi ci aspettiamo (sappiamo) che qualcuno che ci è vicino potrebbe morire, ma non spingiamo lo sguardo oltre i pochi giorni o le poche settimane che seguono da presso questa morte immaginata. Fraintendiamo la natura anche di quei pochi giorni o settimane. Ci potremmo aspettare, se la morte è improvvisa, di avere uno choc. Non ci aspettiamo che questo choc sia obliterante, disarticolante per il corpo e per la mente. Ci potremmo aspettare di essere prostrati, inconsolabili, sconvolti dalla perdita. Non ci aspettiamo di impazzire, di impazzire letteralmente, di diventare ossi duri, convinti che il marito stia per tornare indietro e che abbia bisogno delle scarpe. Nella versione del dolore che immaginiamo, il modello sarà «la guarigione». Prevarrà un certo movimento in avanti. I giorni peggiori saranno i primi. Si immagina che il momento più difficile sarà il funerale, dopodiché avrà luogo questa ipotetica guarigione. Quando pensiamo al funerale ci chiediamo se «ce la faremo ad arrivare alla fine», se saremo all’altezza, se mostreremo la «forza» che invariabilmente viene indicata come la corretta reazione alla morte. Si pensa che dovremo temprarci per l’occasione: sarò capace di “ricevere la gente, sarò capace di lasciare la scena, sarò capace, quel giorno, anche solo di vestirmi? Non abbiamo modo di sapere che il problema non sarà questo. Non abbiamo modo di sapere che lo stesso funerale sarà anodino, una sorta di narcotica regressione in cui ci affidiamo alle cure degli altri e siamo completamente assorbiti dalla gravità e dal significato dell’occasione. Né possiamo conoscere prima del fatto (ed è questo il cuore della differenza tra il dolore come lo immaginiamo e il dolore com’è) l’interminabile assenza successiva, il vuoto, l’esatto contrario del significato, l’inesorabile successione dei momenti in cui ci troveremo ad affrontare l’esperienza della mancanza stessa di significato.”
Passi di
L'anno del pensiero magico
Joan Didion
INTERMEZZO
foto e testo di
Toni Thorimbert
Toni Thorimbert, anni 70, un monumentale lavoro sugli Autogrill pubblicato su Autombile Italiana. Esistono ancora stampe disponibili, nel caso scrivegli.
“Quello sugli Autogrill è stato uno dei miei primi lavori di ricerca.
Scattavo con una Nikon F, di quelle con l'esposimetro grosso e pesante sopra. Era come il portapacchi delle macchine che si vedono nelle foto.
Erano i tempi di Gabriele Basilico, di Cesare Colombo, Uliano Lucas ed altri che raccontavano i cambiamenti nella società.
I fotografi, anche se non erano - ancora - economicamente benestanti, rappresentavano un’élite culturale che non esiste più.
La fotografia, oggi, si è democratizzata: allora, in un mondo di utilitarie, era una fuoriserie. Oggi, in un mondo di fuoriserie, è diventata un'utilitaria.
IL LIBRO DA COMPRARE PRIMA CHE SPARISCA DI NUOVO
Dolce Via Nova, edito da Lazy Dog
La prima edizione di La Dolce Via è storica, un volumetto pressocché introvabile che i collezionisti si accaparrano per quasi mille euro.
Dolce Via era il lavoro di Charles H. Traubb nell'Italia degli anni 80. Si trattava dell'Italia vista da un americano, ma profondamente capita. Niente collinette toscane, niente tramontini smielati. C'erano le vecchie con le caviglie gonfie che avrebbe fotografato Percoco, i ragazzini mezzi nudi quando ancora si potevano fotografare senza che un subumano qualunque urlasse "C'È LA PRAIIVASIII" senza sapere che cosa sia e dandoti subdolamente del pedofilo e ci sono i ragazzi sgangherati, i nostri genitori spesso, che si godono le estati di un decennio in cui era ancora tutto integro, sebbene reggesse su basi fragili fragili.
Grazie al Signore (che bella preghierina italiana) questo volume torna in libreria perché Lazy Dog lo ripubblica col titolo "Dolce Via Nova" (adoro il gioco di parole dantesto/stilnovistico).
Dentro ci sono sempre le solite foto di Traubb che meritano davvero di stare nelle vostre case. Avete rotto che non comprate i libri di fotografia, dovete iniziare. Non si tratta di oggetti per fotografi ma per chiunque. Dovete smettere di comprare la maggior parte di quei libri piccini e rettangolari con tutte le strisce nere piene piene di scritte (i romanzi che non leggete maiiii) e iniziare a comprare i libri di fotografia. Costano di più, ma sono più belli. Questo costa 54 euro e li vale tutti.
Sembra un libro di foto come lo avrebbe fatto Arbasino se fosse stato fotografo. "Ma ho paura che anche questa estate finirà improvvisata e insensata, come già altre”.
Ogni foto è una scena ancestrale, ogni foto è l'Italia in cui siamo cresciuti. Un paese molto bello per fare le foto, per andare piano, per osservare la decadenza, anche per oziare. Nelle foto di Traubb ci sono tante scene di ozio puro, di siesta, di silenzio al bar dove volano a malapena le mosche e pure loro svogliate. C'è lo Stato, che vigila sulle strade scassate, sull'acquedotto pubblico, sulla circolazione statale, sui suoi cittadini che siano in salute. È lo Stato dei primi anni 80, dell'Italia armata e ancora bombarola, dei Palazzi del Potere, della stagione post attentato in cui s'annava a mare e speramo che nun ce fanno sartà per'aria.
Il volto dei soggetti è tutto introiettato nelle estati infinite, che durano sempre di più e sono sempre più calde. Siamo ancora uguali, molto belli da fotografrare. Unico vero grande difetto: i bar sono peggiorati. Sta sparendo la radica, il legno, è tutto fatto di plastica bianca e chabby chic, che sciupa i cromatismi. Di questo dovrebbe occuparsi il Ministero oggi, non di altro. Tuteliamo il paesaggio in modo in cui gente come Traubb ci renda così belli per sempre.
FRASINA
«Ho trascorso tutte le estati della mia vita a fare propositi per settembre. Ora non più. Ora trascorro l'estate a ricordare i propositi che facevo e che sono svaniti, un po' per pigrizia, un po' per dimenticanza. Che cosa avete contro la nostalgia, eh? È l'unico svago che resta per chi è diffidente verso il futuro. L'unico. Senza pioggia, agosto sta finendo. Settembre non comincia. E io sono così ordinario. Ma non c'è da preoccuparsi, va bene. Va bene così».
Jep Gambardella
PERCHÈ LEGGERE CATULLO NEL 2022?
Un pezzo di Stefano Ciumei,
filologo e tarologo, venticinquenne.
Una domanda più che lecita visti i tempi bui in cui viviamo, popolati da guerre, epidemie, rincari e crisi climatica, una situazione globale che porta lo studioso, il lettore, o anche il semplice curioso, ad isolarsi dal mondo e a trovare conforto nella lettura, e cosa c’è di più rinfrancante dei Carmina di un poeta veronese morto a soli trent’anni?
Se quel poeta è Gaio Valerio Catullo allora la domanda non è affatto retorica, infatti sono estremamente poche le opere partorite dall’ingegno umano capaci di tenere testa a questo libellus, vuoi per la sua brevità, vuoi per i temi trattati, Catullo è una voce che arriva al cuore di tutti. Il sentimento amoroso che viene celebrato all’interno delle poesie catulliane è dirompente e investe totalmente il lettore; è infatti impossibile non identificarsi nella gioia di un amore sereno, nell’appassionata dichiarazione di fedeltà, ma anche negli oscuri tormenti dell’animo, nelle pungenti invettive, e soprattutto nei dubbi che vengono esposti in un dialogo tra il poeta e il suo io interiore.
Catullo è un chiaro esempio di come un Classico non abbia bisogno di essere attualizzato, proprio perché la sua natura lo ha portato fuori dal tempo, rendendolo sempre attuale in ogni epoca.
STUPIDERA
Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.
«La poesia qualcosa vale, credetemi. Impedisce di impazzire del tutto.»
da Hollywood! Hollywood!
SHOP
Ogni tanto metterò in vendita una delle mie edicole votive.
Questa è quella per Domenico Bini. 150 euro.
Se la vuoi scrivimi.
Assieme alla foto ti arriveranno simpatici gadget come le Spille Pasta Niente, la spilla di Pappeh, gli adesivi del Bar Degrado e altre amenità tutte a firma del Grande Artista Paolo Proserpio.
Questa è la nuova maglietta psichedeletta di Ray Banhoff
la old but gold maglietta di Bengala invece comprala qui.
Bengala ti piace?
Allora vedrai che apprezzerai pure Mollette, storie stese ad asciugare, la super newsletter di Davide Bregola e Jacopo Masini. Un sacco di libri belli, un sacco di roba ganza. La cugina di Benga, Mollette.
Iscriviti.