BENGALA #145 - La Festa dei Morti È Comunque Festa!
Una lacrima per i morti dentro - Il grande libro della morte - Poggioreale di Poster - filmini di paura - bare ghanesi -
Out of the blue and into the black
You pay for this, but they give you that
And once you're gone, you can't come back
When you're out of the blue and into the black.
The king is gone but he's not forgotten
Is this the tale of Johnny rotten?
It's better to burn out than fade away
The king is gone but he's not forgotten.
Hey hey, my my
Rock and roll can never die
There's more to the picture
Than meets the eye.
Hey hey, my my.
Neil Young
Questo weekend è "i morti", scritto così, che non torna. Così si dice: oggi è i morti.
Quando schianterò voglio essere imbalsamato.
Un lavoro fatto bene, vestito coi miei vestiti, il mio profumo, l'anello con il cactus o gioielli che indosserò all'epoca. Voglio essere posizionato in soggiorno in modo che quando la gente verrà a visitare la casa museo o il fondo che avrò donato alla comunità, possa prendere un caffè, scorreggiare, baccagliare una fia/fio in mia presenza.
Se non fosse possibile imbalsamarmi non azzardatevi a cremarmi.
Nessuno stronzo potrà dar fuoco al mio corpo.
Il corpo va reso alla terra, me l'ha detto un medium potentissimo di Milano. Non è roba nostra, va fatto tornare cenere e non vale dargli una bella vampata di calore per incenerirlo fast. Poi odio l'idea in generale.
Se non mi si può imbalsamare:
La tomba va bene ma nel mio giardino, se ne avrò uno.
Nel caso io muoia dopo i miei gatti voglio essere seppellito vicino a loro.
I morti li sento, i morti ci sono. I morti mi vengono in sogno e mi parlano.
Entro in una stanza e so c’è qualcuno di invisibile. Tutti lo sappiamo, solo che alcuni di noi si fidano del loro destino e altri no.
Eppure la morte mi spaventa.
Noi non sappiamo niente della vita, nessuno di noi sa un bel cazzo di niente, forse sappiamo saltuariamente qualcosa ma di sicuro non sappiamo cosa sia la morte.
Per questo non sopporto quelli che dicono: a me di morire non frega niente.
La mia condanna è la vita! Una vita agra, una vita che è il nemico, ma che alla fine è l’unico straccio di presenza che hai.
«La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere»
CCCP - Morire
Nel giorno dei morti io non penso ai veri morti ma ai Morti in vita. Una piaga di cui nessuno parla.
Il fenomeno accade soprattutto nell’età adulta, quando si è “nel pieno degli anni” e si pensa che i beni materiali siano il massimo. Allora ecco che tutti sgobbiamo per la carriera, per lavorare, per fare i soldi. E diventiamo grigi. Mosci. Noiosi.
La maggior parte dei miei coetanei hanno sacrificato la loro aurea sacra per carriera e boiate e sprecano gli anni centrali della vita ad accumulare beni e abdicare soddisfazioni.
I bambini e i vecchi, invece, sono gli unici apparentemente felici di stare al mondo poiché fanno sciocchezze, giocano, si divertono, stanno al bar, non gliene frega niente di lavorare, si fanno pulire il culo e passano le mattinate di sole in pensione o all’asilo a cercare un amico con cui giocare e qualche tesoro sepolto in giardino.
Il morto in vita invece compra il SUV e rimpiange quando era giovane, non fa più niente che non sia anche remunerativo, non spreca, non sciupa le occasioni, non conosce più niente. Produce solo. Rip in vita. Guarda la partita, esce meno, si abbrutisce.
Dispiace.
Sono piccolo, la Giorgina è nel letto al piano di sopra, con la maschera dell’ossigeno come “un pilota di un caccia” dice mio padre che per smorzare la tensione scherza: «Sembri Top Gun».
Qualcuno ride, forse io. Lei no ma del resto non ha mai riso o capito molto.
Uno degli ultimi ricordi che ho la vede china in garage a spennare gli uccellini che Roberto portava da caccia. Anche lui non era uno stinco di santo e una volta le portò a pelare un cane che aveva investito spacciandoglielo per un tacchino.
Pochi anni dopo, Cristo o chi per esso, ha chiamato a raccolta pure lui, solo che erano molto più giovane della Giorgina. La Giorgina avrà avuto più di novant'anni.
Sono gli ultimi giorni, il dottor D. era ancora giovane, aveva ancora voglia di fare e letteralmente l’aveva già salvata miracolasamente una volta riportandola nel nostro mondo per i capelli. Forse era più una scommessa col suo zelo che un gesto umano, la dimostrazione che fosse il miglior medico della zona, ma tant’è.
Ma la Giorgina il giorno che accadde o quello prima stava ferma...
Ma in quei giorni, in quella camera, Un lento andirivieni di ospiti dalle scale del corridoio portava l’ultimo saluto alla quasi morta, il primo forse con rispetto solenne per quel corpo martoriato dall vita, nato col forpice che le aveva compresso le tempie e l’aveva resa “tocca”, lei che probabilmente era anche figlia di un incesto tra fratelli.
Respirava affannosamente come un vecchio animale stanco, svuotata.
Il bagliore dei suoi occhi era l’ultima lucina di vita che la animava. Non ero abituato a provar tenerezza per lei, che un po' mi intimoriva, ma il mio cuore di bimbo era oppresso a vederla in quel modo.
Avevo sette anni. Capivo che quel silenzio era presagio di qualcosa di grande.
Poi il corpo fermo, ancora più svuotato, privo della Giorgina. I tubi dell’ossigeno ormai solo oggetti accatastati come da un robivecchi.
A sette anni ho visto il primo cadavere.
Da quel giorno ce ne sono stati altri e sempre ho pensato la stessa cosa: il corpo è solo un guscio. Un cadavere non ha niente o quasi dell'anima che lo abitava che lo abbandona come il serpente quando cambia la muta.
continuo a non saper niente di niente, ma questo mi rincuora.
Il pensiero che l'anima scivoli via come un lombrico celeste verso l'alto e si liberi nell'eterno in forme di vita più alte, più sensibili della nostra è una fede per me una speranza.
Le opere sopra, consigliate dalla Fra, sono di un artista dell’AI di Milano. Lo trovate qui.
online solo per una settimana il folle film di Massimo Bologna girato a casa mia. Con la Panda Quack.
Come è andata questa cosa?
Massimo Bologna l’ho conosciuto qualche anno fa, ci siamo stati simpatici al primo sguardo. Abbiamo subito fatto amicizia.
Di lui non so nemmeno tantissime cose. So che è giovane, che è siculo, intelligente e fa il regista. Pure fregno! Quando mi propose di fare un video assieme non ricordo dove fossi, ma non ci capii niente.
Nel giro di un anno è venuto a casa mia due volte e siamo stati assieme qualche giorno. Non ho capito mai nulla di quello che stava girando fino a quando non l’ho visto coi miei occhi.
Di tutti i simboli che mi mandano in tilt lui ha scelto subito Pinocchio, non so con quale rabdomantica capacità di estrarre da un soggetto una parvenza di verità.
Beh, ci ha preso.
Io non riguardo mai le interviste che mi fanno, nemmeno le rileggo. Non partecipo mai a niente che riguardi me, però quando ho visto questo video sono rimasto davvero impressionato. L’ho sbirciato più o meno tutto.
Quello dentro sono io e il tutto è raccontato con un’intimità e una poesia che mi nobilitano più di quanto meriti.
Quindi devo dire grazie a Massimo, perché ha visto cose di me, che restituite dai suoi occhi mi ritornano chiarificate. E non mi imbarazza.
Contro Pinocchio è la sua seconda prova con un film. Tolto il fatto che riguarda me, prego chiunque ne capisca qualcosa di sostenerlo, di invitarlo a fare proiezioni, di farlo esprimere. Perché è bravo, pochi cazzi.
Questa è la collezione di Zippo dei marines in Vietnam dell'artista Bradford Edwards.
Sono tutti pezzi con incisioni personalizzate fatte e volute dai proprietari.
Anni fa c'era una pagina FB che si chiamava Anche gli oggetti hanno un'anima ed era fatta di foto postate dagli utenti su oggetti abbandonati. Faceva impressione, ma non tanto quanto questi still life.
Ho letto Dylan Dog tutta la vita. La scena con Anna Falchi e Rupert Everett che fanno l'amore al cimitero mi ha segnato l'infanzia.
Avevo il poster nell'interno dell'armadio di quelle tette metafisiche, lo tenevo aperto di notte di nascosto per guardarlo.
Il cimitero è quel luogo di putrefazione serena, quel posto in terra dove si contempla il silenzio e si sa che di fronte all'infinito i sensi si vogliono liberare, per questo è il set perfetto anche per questo storico servizio hot di una rivista francese.
Patrick Magaud
«Kim vede i sogni come un legame vitale con il nostro destino biologico e spiriruale nello spazio. Senza questa linea di comunicazione con l'aria siamo destinati a morire. I
l modo per uccidere un uomo o una nazione è tarpargli i sogni, proprio come i bianchi stanno sistemando per le feste gli indiani: uccidendo i loro sogni, la loro magia, i loro spiriti di famiglia».
William Burroughs
Il monumento funebre a Canova è il più bello che abbia mai visto. Una piramide con la porta aperta a cui fanno la veglia il leone di San Marco.
A Venezia, nella basilica dei Frari.
Wiki:
Sopra uno zoccolo alto un metro si innalzano tre gradini sull'ultimo dei quali poggia una piramide alta 11 metri e con la base di 13 metri.
Nel mezzo di essa una porta dischiusa che conduce all'interno del monumento nel quale il cuore del Canova è custodito entro un'urna di porfido.
A destra della porta tre Arti salgono i gradini: la Scultura che porta in un'urna il cuore di Canova (nella realtà deposto all'interno dell'edificio), opera del vicentino Bartolomeo Ferrari (1780-1844), seguita dal suo Genio; seguono la Pittura e l'Architettura, ragguppate, accompagnate dai rispettivi geni tutelari con i relativi attributi e le fiaccole mortuarie accese.
A sinistra della porta giace accasciato il Leone di San Marco in posa mesta a cui si appoggia seduto il Genio ispiratore di Canova con la fiaccola già spenta; sopra alla porta la Fama, in doppia raffigurazione, regge l'immagine in basso rilievo di Canova cinta dalla serpe, simbolo di immortalità.
Sotto di essa, lungo tutta la larghezza della porta, l'iscrizioneCanova.
GHESBORO.
L'isola dei morti (in tedesco, Die Toteninsel) è il più noto dipinto del pittore simbolista svizzero Arnold Böcklin.
L'opera affascinò personaggi come Sigmund Freud, Lenin, Georges Clemenceau, Salvador Dalí e Gabriele D'Annunzio. Adolf Hitler ne possedeva una versione originale, acquistata nel 1933.
Esistono cinque versioni successive della celebre opera.
Testo tratto da “Bara”, contenuto ne Il libro dei simboli, Taschen.
Prima che venissero create le bare, i morti erano sepolti in vasi, cesti, sudari, pelli di animali e talvolta semplicemente esposti. I feretri cominciarono a essere usati per proteggere i morti dai predatori e dagli spiriti maligni, per proteggere i vivi dal fantasma del defunto e come simbolo dello status sociale.
ghana style
«I fantasiosi feretri del popolo africano Ga, riproducono alcuni aspetti dell'identità e del rango della persona defunta. Questa bara a forma di Mercedes è di un facoltoso commerciante; un pescatore potrebbe essere seppellito in una cassa a forma di sardina».
da Il libro dei simboli, Taschen
La bara ci ricorda l'ineluttabilità della fine, sepoltura, perdita, assenza e, nelle rappresentazioni più macabre, vermi famelici e l'irrequietezza della morte. Tuttavia essa è anche un contenitore di vita.
UN FILM CHE NESSUNO RICORDA
Da ragazzo amavo questo film che devo assolutamente recuperare.
Realizzato con tecniche avantissimo per il 1998 (vinse l'Oscar per gli effetti speciali) vedeva Robin Williams nell'aldilà, con un giovane Cuba Gooding Jr. che gli faceva da Virgilio.
I cieli rinascimentali, i tramonti di tempera, i colori e i suoni me li sono sognati per anni.
Chi non lo ha mai visto recuperi.
NON APRITE QUELLE PORTE
A sedici anni mi hanno messo in mano quella monetina sulla tavoletta ouija e ho capito che non l’avrei più fatto.
mi sono cacato sotto.
I morti stanno nella loro dimensione e non gli si deve rompere le scatole. Quello che senti da qui basta e avanza, te lo assicuro.
Fino a un secolo e mezzo fa lo spiritismo era in gran voga e vi faccio notare che anche durante il sequestro Moro lo Stato si rivolse ai medium per trovare l’onorevole, quindi non stiamo parlando del Medioevo.
Avrei potuto dilungarmi sulla poesia cimiteriale o sepolcrale del 1700 e 1800, sulla necrofilia, sul paranormale ma sarei andato fuori tema. Facciamo un Benga a parte su questo.
Di solito non leggo tanta saggistica a meno che non stia studiando. E c'è un motivo. La saggistica è troppo spesso scritta male. C'è un registro per essere narratori, uno per essere saggisti, uno per essere poeti? Secondo me no. C'è un registro per ogni tipo di concetto da comunicare. Spesso e volentieri i saggi più acclamati sono una gran palla perché gli autori non parlano al lettore ma a se stessi in posa. Mi addormentano.
Poi ho incontrato Ines Testoni. Virtualmente.
Il suo libro l'ho bevuto, perché è scritto così bene che ne vuoi sempre una pagina in più.
La dottoressa si è occupata di investigare il concetto di morte in epoche e culture diverse e lontane, per giungere fino ad oggi, un tempo in cui il concetto di morte è completamente schivato più o meno da chiunque.
Io non aggiungo altro, metto degli estratti. Comprate il libro de Il Saggiatore se vi intriga.
da Il grande libro della morte, di Ines Testoni
«... Norbert Elias, secondo il quale il progressivo e inarrestabile successo della scienza e della tecnica nel controllo dei processi biologici e sociali ha determinato l’abbandono di anziani e morenti in case di riposo, ospedali e hospice. Secondo il sociologo, l’allontanamento dell’esperienza concreta del morire dalla vita quotidiana ha trasformato una condizione inevitabile in un evento pressochè sconosciuto. Tutto ciò fortemente collegato all’estinzione di ritualità di passaggio che graduavano le dinamiche di appartenenza alla comunità, rafforzando i legami tra le diverse generazioni.
La medicalizzazione del morire ha sancito il dissolvimento delle manifestazioni del congedo, causando un distanziamento dalle spoglie mortali ormai reificate come prodotti da affidare a imprese funebri, crematori, obitori e sale del commiato».
«Prima dei tempi moderni, in cui la tecnologizzazione dell’azione ha trasformato ogni tratto del cammino umano in un evento misurabile, il raccogliersi con altri intorno al rito funebre rendeva la morte, per quanto nemica suprema e temibile, un evento tanto naturale quanto addomesticabile attraverso la sacralizzazione della sua presenza, dipanata tra il visibile e l’invisibile».
«La cifra simbolica che permette agli uomini di trascendere il terrore della morte e adattarsi alla vita è l’eroismo, grazie al quale essi sopportano fatiche e dolori facendo tesoro di rappresentazioni che gli permettono di pensarsi immortali, ovvero di poter continuare ad abitare una qualche dimensione anche dopo l’ultimo respiro».
«In ogni caso, la difesa più efficace è quella di mantenere costantemente attivo il meccanismo di negazione, che permette di continuare ad agire nel mondo credendo di conoscere le ragioni di ciò che si sta facendo, perchè questo permette di mantenere sotto controllo il terrore (proximal defence). In tal senso, la cultura non è altro che il prodotto di tale incessante lavoro».
«Sotto le città abitate da corpi vivi, si erigeva dunque la città dei morti che accoglieva le anime dei compianti. Ci che di fatto le azioni di trionfazione ricordavano attraverso le narrazioni della trascendenza era che al di l del visibile esistono dimore ulteriori in cui il principio identitario individuale può abitare dopo la dipartita.
Le necropoli egizie mesopotamiche o etrusche, raccontano ancora di antichissimi edifici concettuali in cui collocare il mistero del trapasso, attraverso la rappresentazione di un principio persistente».
«L’accompagnamento dell’agonizzante, i riti funebri, la manipolazione della salma, la costruzione della città capovolta, sono sempre stati la sistole e la diastole dei processi lungo il limes che separa e unisce i due mondi. I resti umani consacrati in cimiteri, ossari, are o altari per antenati mantenevano infatti accesa la dialettica legata alla contemplazione della condizione del non esser più in questo mondo dopo la dipartita, eppure dell’esser ancora presente pur abitando al di là del limes».
Natura morta con teschio, Philippe de Champaigne, 1671
«La comunità si dispone dunque intorno a chi resta, accogliendo e tamponando il grido, per testimoniare la ricostituzione della norma, rappresentata per un verso dalla messa in scena dello strazio come momento condiviso, in quanto appartenente all’inevitabile esperienza di ognuno, dall’altro verso, dal copione comportamentale che il rito funebre impone. Infatti, sono proprio i dolenti, i quali vorrebbero gridare per esprimere la propria devastazione interiore, a dover tacere. È l’attrice che può urlare al posto loro».
«la ritualità funebre è stata lo strumento principe per educare le persone a considerare la morte come un fatto sociale e non meramente individuale.
Allestire uno spazio in cui manifestare il dolore permette infatti a ognuno di noi di ritrovare in se stesso la consapevolezza di appartenere a un destino comune»
«Testimoniano l’importanza di questi spazi gli imponenti monumenti fioriti all’interno delle architetture funerarie di egizi, sumeri, cretesi, ittiti, etruschi, inca e aztechi, le cui piramidi, ziqqurat, templi, mausolei e labirinti descrivono come a vita di comunità facesse perno su luoghi in cui immaginare la presenza di entità divenute imperiture dopo il trapasso.
Quanto più si riteneva importante l’influenza di ciò che sta oltre della vita concreta, tanto più imponenti erano le strutture che accoglievano i defunti».
«Una vera e propria fioritura di questo atteggiamento per avvenuta molto pi tardi, tra il tardo Medioevo e il primo Rinascimento, allorchè il teschio divenne l’oggetto ornamentale per eccellenza, raffigurato appoggiato sulle scrivanie di tutti gli uomini di cultura e dei potenti, i quali sono stati ritratti nell’atto del contemplarlo evocando così la loro consapevolezza relativa all’impermanenza nel mondo».
«... nel Novecento ormai non fosse più il sesso a subire una censura, bensì la morte, di fatto alla base della sua intuizione giace qualcosa di più profondo e che può diventare più perspicuo. Il termine esatto è oscenità e non pornografia».
di Stefania Marinelli
Una delle più grandi negazioni dei nostri tempi è la tematica della Morte.
Ci sforziamo con ogni mezzo di non apparire nella cruda verità, soprattutto a livello estetico. La vecchiaia ci repelle ed il corpo viene forzato a non seguire i suoi naturali processi di decadimento. Eppure dovremmo tutti poter esplorare il Mistero della Morte con abbastanza agio e fede, considerate le forti radici culturali a livello religioso.
Stavo tuttavia riflettendo come comunque religione non sempre coincide con spessore spirituale, non siamo per niente usi a percepire il bisogno di nutrimento spirituale, essenziale per una vita serena. Piuttosto il disorientamento creato dalla paura di guardarsi nello specchio innesca uno stato di ansia perenne che decentra e rende le persone schegge impazzite in preda alle proprie strategie di compensazione. Apparentemente noi italiani cresciuti con una forte educazione rivolta alla Risurrezione, abbiamo una terribile e tremenda paura della Morte.
Respiriamo per un momento.
Fluendo nell’esistenza moriamo ciclicamente, aprendoci continuamente a nuove fasi dell’essere. Dovremmo ripristinare i riti di iniziazione come facevano gli Antichi, così da entrare in contatto con i diversi Sé che muoiono, ringraziandoli per la funzione preziosa che hanno svolto per noi fino a quel momento. La Morte in questo senso è un processo propedeutico al divenire evolutivo proprio della natura umana, quando questa obbedisce spontaneamente alla chiamata interiore.
Nella Morte l’io si dissolve e ben pochi riescono a superare questa tendenza alla sopravvivenza. Per questo diventa essenziale disidentificarsi in vita dai molteplici aspetti della nostra personalità, altrimenti prima di tutto non possiamo perderci nel vuoto creativo della non-mente, figuriamoci poi entrare in contatto con ciò che viene percepito come la fine.
Educarsi alla Morte diventa una pratica di grande apertura verso l’amore, superando la paura della sofferenza. La Morte andrebbe accolta in ogni momento perché essa ci collega all’Assoluto, in quanto davanti ad essa nulla più è importante se non l’amore e la verità che sentiamo esplodere nel cuore. La Vita ha bisogno della Morte per assumere un carattere di sincera espressione dell’amore che abbiamo dentro.
Senza la Morte non esiste il coraggio: coraggio di rimanere fermi davanti a se stessi senza scusanti né consolazioni. In questa nudità onnicomprensiva tutto si fa chiaro e solo ciò che per noi è reale, vitale, fondamentale acquisisce la forza di diventare eterno.
«Il posto delle Strade Morte senor.
Questo non significa strade che non vengono più usate, strade che sono coperte di vegetazione, significa strade che sono morte.
Capite la differenza?»
da Vita oltre la morte, in Interviste (Il Saggiatore)
...Ogni cosa è lì, ogni istante. Come dice don Juan Matus: «La tua morte è sempre al mio fianco». La morte è sempre al tuo fianco, in ogni istante, dunque il tuo futuro non smette mai di accompagnarti. E non nel senso che va considerato come predeterminato, ma tutto questo si riduce a concetti che non significano poi molto. Vede, non credo nella causa e l'effetto, credo nella sincronicità.
Si considera una persona anziana?
No, non penso nulla in particolare sull'età. Sento la morte sempre al mio fianco e non ho mai dubitato dell'esistenza della vita oltre la morte.
Credere che esista un alidilà rende la vita meno importante?
Non necessariamente. La rende più importante, molto più importante. Perché ciò che si fa qui e adesso determinerà la forma della propria vita oltre la morte. E se non ti avvantaggi delle opportunità educative che ti si offrono qui, finirai per trovarti in una posizione molto peggiore. Credo che quel che si fa qui sia molto più importante.
Trova ci sia un senso in questa vita?
Tutto significa qualcosa. Cammini in strada e vedi qualcosa, perché ti trovavi lì in quel momento in particolare, e questo ai tuoi occhi assume un significato. Un significato scovato. Chiedo ai miei studenti di camminare attorno a un'isolato, niente più, di scovare ogni cosa che vedono, ricollegarla a ciò che stavano pensando in quel preciso momento, quel che io definisco un punto di intersezione, per poi tornare e scrivere tutto.
Stralci da: L'Italia è morta, io sono l'Italia
L'Italia è morta eppure io la sento nel mio cuoricino,
come un figlio primogenito
io la sento ingenuo fino a oggi
che solo un tuffo nel Tirreno
mi ripara dei mesi e degli anni legato
alla sedia della mia mente.
(...) Roma è un cagnaccio. Un canaro della Magliana.
E un cagnotto che spaventa i bimbi
però è immobile come un drago cinese
che guarda a Oriente
messo là in vetrina dalle parti di Porta Angelica
in compagnia delle statue di santi
e madonne e cristi e rosari e vangeli
(...) E l'Italia mi ha fatto schifo
quando il tribunale mi ha condannato innocente
e quando il sindaco ladro
ha deriso il mio amico analfabeta
(...) Io piango perché mi coprono d'insulti
quando vorrei dichiarare guerra all'Italia,
a coloro che hanno usato lo scudo della mafia
per sperperare una prole di veline sverginate
nel Gran Galà di Miss Italia.
E non ho pudori ad avventarmi sulle mezze tacche
dei Carlo Conti, sull'Istituzione Benigni,
sui tatuaggi e sui marchiati stessi
che affollano i reality show
e i calendari delle femmine con 'e zinne fora
sui cui nel tempo borgataro camionisti
e meccanici ci sborravano santamente negli occhi
tra il grasso delle officine o dentro i cessi
puzzolenti di merda biologica
L'Italia è costruita su una gigantesca Tomba.
Quella dei Padri traditi e dimenticati.
L'ho percepito correndo di notte.
Sentivo accanto a me
un bastimento di ombre urlanti.
Erano i morti.
(...) A Gardone invece sono entrato
nella tomba di D'Annunzio,
in quella sua dimora di topo.
Perché l'Eroe, o il fasullo eroe,
era soltanto un bimbo,
un topolino che si nascondeva tra i libri
e bende e porcellane e sete, si,
proprio un rattino con un occhio pettinato,
allisciato, magnetico a volte triste
e a volte soltanto malinconico o vitreo:
un rattoletto pronto a nascondersi
nel pube beato di sua madre.
(...) La Valle è ammorbidita di Lexotan
o dalla champagna per chi può
e non può permetterselo.
Vi passeggiano bancarottieri e signoracce-Bulgari,
o signoracce-Grace kelly, moltissimo diverse
dalle mantenute asiatiche o milanesi
che si aggirano sul lungolago di Lugano
con i pantaloni bianchineve spaccati intuculo
(...) Genova è dell'Italia l'unica città atlantica
i transessuali mettono su famiglia
e i vicoli sono cortei di confraternite marinare
e dedali cerebrali
(...) Ma Livorno è l'ultima città del Sud
e la prima del Nord.
(...) Se un giorno Napoli sparisse
l'Italia non avrebbe più diritto alla vita.
«È vero che il culto dei morti si è affievolito sempre di più negli anni, ma le persone hanno in casa così tante urne funerarie con i resti delle cremazioni, che a un certo punto non saranno in grado di riconoscerle e nemmeno di sapere a chi appartengono le ceneri al loro interno; si renderanno conto che sarà meglio lasciarle al cimitero»
da un pezzo di Morelli & Nocera, su Poster.
"Questa splitzine è nata in maniera molto spontanea, abbiamo lavorato su 15 immagini a testa ed i testi li abbiamo ricavati utilizzando la tecnica del cutup. Pur lavorando su libri diversi i testi si fondono in maniera organica. Ci siamo lasciati ispirare da un immaginario che attinge dai nostri interessi su cinema di genere, folklore locale e memoria."insomma ci si diverte!”.
Cristiano Baricelli & Alessandro Marzola
Vi piacciono gli horror? Io mi cago sotto solo a pensarci, ma i nostri ragazzi ci danno la loro lista da vedere:
The thing
Szamanka (La Sciamana)
Hellbender
Midsommar
November
Troll Hunter
Hellraiser
Martyrs
Calvaire
Pieles
Il mostro di St.Pauli
Possession
I diavoli
The Witch
Mad god
Splatter schizza cervelli
Session 9
Hereditary
Cuando acheca la maldad
Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.