BENGALA #137 - CHE INUTILE CIARLARE DI GALLINE
BOCCIA MEGLIO DI VAGNOLI - BYUNG-CHUL SPACCA I CUL - MANCHESTER - MIKE BRODIE - SONDAGGIO
«L’informazione è semplicemente lì presente. Il sapere in senso enfatico è invece un lungo processo. La sua temporalità ha una natura del tutto diversa. Il sapere matura. Maturare è una temporalità che va scomparendo».
Byung-Chul Han, L’Espulsione dell’Altro, Edizioni Nottetempo
Manettaro non lo son mai stato, utopista nemmeno. L’uomo ha dimostrato per secoli di non essere votato al bene collettivo ma a quello individuale. Lo Stato italiano non mi ispira fiducia, gli uomini di Stato ancora meno, specie quelli degli ultimi trent’anni. Prima forse non era meglio, ma si vedevano meno, non erano Salvini che fa la carbonara sui social e francamente si, era meglio.
Per questo la storia di Sangiuliano mi pare una storia di sfiga, di squallore, di piccolezza.
Ci sono due modi di approcciare il tema:
1) Sangiuliano mito! Chiavatore!
2) Sangiuliano vaffanculo!
Sono entrambi mozzi, privi di conseguenze.
Se esalti il politico chiavatore stai sposando una filosofia un po’ smargiassa e godereccia, alla Guzzanti, alla buttiamola sul ridere. Il mondo crolla ma tanto dobbiamo tutti morire! Sei un cinico e ti senti così distante da quello che succede in politica da poterci addirittura scherzare. Di solito se sei così è perché te lo puoi permettere, hai un lavoro, una casa etc. Lo Stato non lo devi frequentare, la politica è una fiction da seguire.
Se sei un vaffanculista stiamo comunque attenti: niente morale. Si sa che arrivano ai vertici del potere solo gli squali e i senza scrupoli, gente con cui una mente sana non potrebbe dividere nemmeno il posto a fianco su una panchina. Se ti aspetti che dallo Stato venga qualcosa di buono allora o non hai gli strumenti necessari per capire la realtà o sei semplicemente un po’ allocco. Non è immorale che Sangiuliano chiavi la Boccia e la sistemi al ministero, non è quello lo scandalo, quella è la REALTA’. Lo scandalo è che la Rivoluzione Francese non ci ha insegnato proprio niente e che siamo destinati a essere sottomessi da pidocchi più spietati, più determinati, più cattivi di noi.
Carmelo Bene: «Non mi interessano gli Italiani, ecco. Qualunque governo, come qualunque arte, è borghese: tutta l'arte è rappresentazione di Stato, è statale. È uno Stato che si assiste fin troppo. Se no alla mediocrità chi ci pensa? La mediocrità, par excellence, è proprio lo Stato».
Sangiuliano e la Boccia SONO lo stato della Cultura in Italia. Ogni ambito culturale è pieno di imbucati, ladri, millantatori, furbi, bocchinare, bocchinari etc. Chiunque sa che se cerchi un’arricchimento culturale lo devi trovare fuori dai canali ufficiali.
Ecco, qui siete fuori dai canali ufficiali, qui siete su Bengala, scritto da un precario, in un paesino di provincia che pare il Texas e le palle che girano come scuri.
Grazie al cazzo che abbiamo Crepet che ci dice che il mondo è peggiorato, i vari psichiatri e sociologi che ci dicono che il mondo è peggiorato e bla bla e propongono utopie tipo: dobbiamo RIFONDARE la famiglia, RIFONDARE la scuola, RIFONDARE l’essere umano. Ma è impossibile. Casomai dobbiamo SFASCIARE la famiglia, la scuola, lo stato. Ricostruire.
Come mai gli intellettuali non hanno le palle di rompere l’ordine? Perché vogliono farne parte come maestrini? Oh che bello il film su Limonov che era PAZZO e faceva il partito rivoluzionario, si appunto bello ma per un film, io quest’anno voglio andare a Pantelleria!
Giornalisti e bacchettoni contro Sangiuliano: tutti fanno come lui. Adesso è uscito Sangiuliano ma per gli altri 100 che sappiamo ma non abbiamo le prove che facciano lo stesso che si dice? Un cazzo!
Tutti quelli che fanno il dottorato, i precari della scuola, gli stagisti, chi lavora cococo nei musei, negli enti pubblici, tutti in massa dovremmo fare una piccola Capitol Hill, non scandalizzarsi che Sangiuliano chiavi. Povero scemo che va pure a frignare…
Ci sarebbe di interessante da dire sulla Boccia, che registra tutto perché lui tipo House of Cards le aveva detto «Io sono un ministro, io sono un uomo, non ti crederà nessuno». E lei ZAC! Sbugiarda la premier in diretta, pubblica tutto, ha chissà cosa in quel telefono. Fa più lei per il femminismo di Carlotta Vagnoli, Nonunadimeno e tutta la compagnia, che di lei non parlano perché è fascia, bona e un po’ subumana.
Guerra di palle la definirei.
Viviamo in un tempo di lento logoramento di palle.
Sembra una fotocopia della mia vita
Un po’ sbiadita ma quasi uguale
Ricalcata da carta velina, fragilissima
Composta di ricordi di odori, sensazioni perse
Cieli tersi e podi di classificato terzo
Cagato in un punto imprecisato dell’universo
Cielo rosa panna ammansisce i randagi che ho dentro
La torta ai miele di mia nonna, ramerino e camomilla anche io son stato figlio di Dio prima
Che diventassi debito, buco nero
Sacrificio da altare
Esco per star con me stesso ma
Non trovo nessuno
Un ritmo impossibile hanno questi tempi
Ti sembra di esser lì ora
Invece hai già visto tutto passare
Ho già fatto diversi speciali su Byng-Chul Han su Bengala (qui) e non vorrei ripetermi troppo. Ci sono degli specialisti online che ne parlano in termini filosofici ma io non sono in grado. Lo approccio da profano della filosofia, forse perché è un gran divulgatore prima di essere un filosofo.
Il suo processo di pensiero non è accademico ma volto al dialogo. Scrive semplice e dice cose enormi tipo: «non la repressione, bensì la depressione è il sintomo patologico del nostro tempo». Semplice, no?
Ecco, per quest’autore parlano le pagine. Vi servo un piccolo cut-up fatto da me su L’espulsione dell’Altro, edito come al solito da Edizioni Nottetempo.
«Nella serie di immagini di Jeff Koons dal titolo Easyfun-Ethereal, articoili di consumo di ogni tipo sono presentati in immagini colorate elaborate al computer. Piccole torte, salsicce, chicchi di mais e vorticano disordinatamente. Le sue immagini rispecchiano la nostra società, diventata ormai un centro commerciale, totalmente dominata dalla pubblicità e dalle cose effimere. Sono sparite ogni alterità e ogni estraneità. Così non è più possibile alcuno stupore».
(se volete c’è un libro con ste tavole stupende di Koons)
»Heidegger ci direbbe che oggi il rumore della comunicazione, la tempesta digitale di dati e informazioni, ci rende sordi nei confronti del fragore silenzioso della verità, nei confronti del suo imopeto silenzioso».
«L’imperativo dell’autenticità promuove un obbligo verso se stessi, un obbligo a consultare di continuo se stessi, ad auscultarsi, a scrutarsi, ad assediarsi. Esso intensifica in tal modo l’egocentrismo narcisistico».
«L’io in quanto imprenditore narcisistico si de stesso, produce se stesso, è la performance di se stesso e si offre come merce. L’autenticità è un fattore di incremento di vendite».
«Lo sforzo di essere autentici provoca un continuo paragone con gli altri».
«Così l’autenticità dell’essere-diverso consolida la conformità sociale, poiché ammette solo le differenze conformi al sistesma».
«Gli individui esprimono la loro autenticità soprattutto attraverso il consumo. L’imperativo dell’autenticità non porta alla formazione di un individuo autonomo, socrano. L’individuo piuttosto viene completamente sequestrato dal profitto».
«Il sentimento di autostima non lo posso produrre io stesso. Perché nasca ho bisogno dell’altro quale istanza di gratificazione. L’isolamento narcisistico dell’uomo, la concorrenza universale, distruggono il clima di gratificazione».
«L’eliminaziomne di ogni negatività è un aspetto caratteristico dell’attuale società. Tutto viene appianato e levigato. Anche la comunicazione viene levigata con lo scambio di compiacenti cortesie. Colpita da interdizione è l’espressione di sentimenti negativi come la tristezza».
«Il diffondersi della depressione è una conseguenza del perduto rapporto con il conflitto, perché essa richiede molto tempo. L’attuale cultura della prestazione e dell’ottimizzazione conosce soltanto due condizioni: funzionare o rinunciare. In ciò assomiglia alle macchine».
«Nel regime neoliberista lo sfruttamento non si verifica più nella forma dell’alienazione, dell’autoannullamento, bensì nella forma della libertà, dell’autorealizzazione e nell’ottimizzazione di se stessi. Qui non c’è un Altro sfruttatore che mi costringe a lavorare e mi aliena da me stesso. È questa la perfida logica del neoliberismo. Così funziona anche il primo stato dell’euforia del burn out. Io mi butto euforicamente nel lavoro per poi alla fine crollare. Mi realizzo fino a morirne, ottimizzo me stesso fino a morirne».
«Il terrore dell’Uguale investe oggi ogni ambito vitale. Si va dovunque senza mai fare esperienza. Si prende atto di tutto senza mai giungere a una conoscenza. Si ammassano informazioni e dati senza mai giungere a un sapere. Si bramano esperienze vissute ed emozioni eccitanti in cui però si resta sempre uguali. Si accumulano amici e follower senza mai incontrare veramente l’Altro».
ESTETICA DEL LAVORO. ULTIMI 30 ANNI. HELLO COMPUTER!
Lars Tunbjörk, Alien at the Office (2004)
Tunbjörk lavorava per il NY Times nei 90 quando sentì l'esigenza di cominciare a fotografare gli uffici. Sia pieni che spogli, sia quelli delle compagnie assicurative in oriente che la redazione del giornale. Così iniziò un lavoro lungo anni.
“Ho fotografato un sacco di posti, dalle stanze di terapia familiare appena dopo le sedute agli uffici” dice Tunbjörk. “e mi sono accorto che una volta che la gente se ne era andata nell'aria rimaneva come un alone di sentimento, una sorta di tristezza.”
Tunbjörk si chiese se fosse in grado di catturarla in foto la tristezza di quei posti, che lui stesso definisce “til posto più comune, ma anche chiuso e segreto, della civiltà occidentale.”
Due lavoroni fotografici simili, più recenti.
Louis Quail, Desk Job
Brian Finke: Desktop Dining, The New York Times Magazine
Mi era piaciuto tanto lo storico A period of juvenile prosperity, un classico della produzione di Brodie con i suoi anni a vivere sui treni, mangiare topi, stare coi reietti. Questo è diverso ma pare promettere bene, sempre pubblicato dai mitici di Twin Palms che scrivono di Brodie così, dopo il successo:
And then Brodie seemed to disappear from the art world as suddenly and mysteriously as he’d first appeared. Maybe his vanishing was another myth. Maybe it was just a necessary retreat. “I was divorcing myself from all that,” he says. “I was growing up. I was pursuing this other life.”
In Nashville he became a diesel mechanic. Fell in love. Moved across the country again. Got married. Bought land on the long dusty Winnemucca road Johnny Cash sang about. Started his own business. Built a house. Put down roots. And when that life exploded, the open road called again. Throughout almost all of it, his cameras were with him, and at last those pictures are coming to light.
If Michael Brodie’s first monograph was a cinematic dream, Failing is the awakening and the reckoning, a raw, wounded, and searingly honest photographic diary of a decade marked by love and heartbreak, loss and grief — biblical in its scope, and in its search for truth and meaning. Here is the flip side of the American dream, seen from within; here is bearing close witness to the brutal chaos of addiction and death; here are front-seat encounters with hitchhikers and kindred wanderers on society’s edges, sustained by the ragtag community of the road. Failing often exists in darkness but is tuned to grace. Brodie’s eye stays forever open to the strange and fleeting beauty that exists in forgotten places — the open country and the lost horizons that sweep past dust-spattered windows in a spectral blur.
85 euro. Li vale.
di Giuseppina Borghese, autrice di A Manchester con gli Smiths
Oggi a Salford ci sono università, sale concerto e teatri. Uno di questi è il Lowry, un’ampia sala inaugurata nel 2000 che comprende al proprio interno un complesso di gallerie. Il suo nome è un omaggio a Laurence Lowry, pittore di fine Ottocento famoso per aver ritratto l’anima blu e ocra dei distretti industriali di tutta l’Inghilterra del nord ovest, Salford in particolare. Non lo conosco, così mi addentro nell’ampia collezione che è ospitata nella galleria dell’edificio e rimango colpita dalla bellezza semplice dei paesaggi, ma anche dalla storia personale di quest’uomo schivo con la passione per le costruzioni industriali.
All’inizio Lowry non aveva molta scelta sul soggetto da dipingere, Stretford, così come tutti i quartieri di Trafford, offriva solo quei paesaggi, poi, con il tempo, iniziò sinceramente a innamorarsi delle distese industriali al punto da ricordare come un’esperienza mistica la visione di un mulino che all’imbrunire si spegneva lentamente. Le sue opere vivono di un realismo aritmetico e, allo stesso tempo, sono attraversate da un elemento spirituale non precisamente definito. I dipinti di Lowry mi parlano di un sogno matematico che ho fatto durante il mio primo viaggio a Manchester. Era il crepuscolo e mi trovavo su una spiaggia immensa davanti una distesa d’acqua immobile e scura. D’improvviso mi ero sorpresa a nuotare e, con una rapidità possibile solo nell’universo onirico, in poche bracciate avevo raggiunto l’orizzonte, dove mi attendeva una grande nave rettangolare con al centro una cavità luccicante. Di questo sogno non ricordo alcun sentimento: né paura, né sgomento, né eccitazione. Il tragitto dalla riva all’orizzonte era scandito da calcoli matematici che si susseguivano nei miei pensieri: contavo le bracciate, ipotizzavo i tempi di arrivo, mi domandavo quante ore fossero passate dal momento in cui mi ero immersa.
Nella pittura di Lowry ho ritrovato una sensazione simile a quella provata in quel sogno. Going To Work, che si trova all’Imperial War Museum, è una delle sue opere più celebri: una folla di sagome senza ombra, stilizzate come fossero fiammiferi, corre davanti a una fabbrica. Uomo fiammifero è l’appellativo con cui vengono chiamati gli anonimi passanti delle sue tele e, in effetti, non sono pochi gli uomini fiammifero che ritornano nei suoi quadri. L’arte di Lowry è una lente sulla città di Manchester e sui suoi cambiamenti continui. Tra tutte le rappresentazioni di questa umanità sempre di corsa sotto i cieli grigi e fumosi la più notevole è An Accident, una delle prime scene industriali disegnate dal pittore di Stretford in cui una folla mesta si materializza all’improvviso, non si sa bene da dove, scriverà l’artista, davanti a un edificio in cui è stata trovata una donna che si è tolta la vita.
Pare che Lowry, la cui arte ha ispirato il video di The Masterplan degli Oasis, fosse affascinato dalle vite delle persone e dalle loro storie, qualunque esse fossero e che fossero vere o no. La fantasia, per questo artista dall’aspetto ordinario, deve essere stata uno degli antidoti per una vita trascorsa sostanzialmente in solitudine. Lo dimostra l’aneddoto legato a Old Church and Steps, commissionatogli nel 1960 dal fotografo Robert Smithies, che ritrae una scalinata al centro della cittadina di Middleton. Il dipinto è in realtà la seconda versione di un quadro precedente, di cui Lowry non era soddisfatto. Se si guarda bene, in basso al centro dell’opera c’è un cane con cinque zampe. A chi glielo fece notare, Lowry rispose che il cane doveva avere un numero insolito di zampe nella realtà, perché lui dipingeva solo ciò che vedeva.
Indeciso se essere the coolest man on heart, un maledetto post hippie sciroccato o un turista americano, qui mi vendo a voi come intellettuale. Chi mi ama mi segua sui social e sparga il verbo. Chi ha lo sbatto venga a sentirmi parlare al festival de ilBlast.
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«Me ne sono accorto in un momento di autocommiserazione lucida: non c’è posto al mondo per essere un fallito che questo paese.
Qui la mediocrità regna su tutto come un incantesimo somministrato lentamente, a dosaggio controllato. Sono tutti dei falliti.
Derelitti con le ciabatte e il suv impestano le strade in cui un tempo camminavano re e conquistatori, i paesini medievali concepiti come meta di ristoro e pellegrinaggio sono abitati da spettri e da vecchi sovrappeso e incattiviti dall’ignoranza. I loro sguardi ti intimano di andartene. Pessime vibrazioni.
Se sei un fallito alla fine non ti dice niente nessuno. La mediocrità e uno standard così affermato di cui fanno parte i tuoi genitori, il migliore amico, il dipendente delle Poste, l’assicuratore, il vigile urbano, l’uomo al banco dell’accettazione del pronto soccorso, il sindaco. Tutti fanno fatica ad arrivare a fine mese, cercano i prodotti in sconto, rateizzano, sognano viaggi che non faranno mai e si lamentano al bar.
Ecco la mediocrità. Te la vendono come una sicurezza.
Te la vendono chi? Chi sono loro? Vedi, è qualcosa che non puoi dimostrare, è l’atteggiamento del nostro tempo: dai la colpa al sistema e tutti gli altri disorientati spiantati ti assolveranno da quelle colpe che invece non ti fanno dormire la notte. Diventano vocine, rimorso, intuizioni segrete che non sussurri nemmeno a te stesso. Vivi nel castello sapendo benissimo che è finto, ma non trovando mai il coraggio per dirlo a te stesso.
A cosa dovrebbe servire la scrittura? A buttare giù questo muro. Ma se non sei onesto non scriverai mai niente di eterno.
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Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.