BENGALA #122 - Fleximan è il nostro Batman
Stanza Selvaggia: etimologia - Perché oggi è impossibile una rivoluzione? - Anche i geni sono dei sottoni
«La lotta di classe si è trasformata in una lotta interiore.
Chi oggi fallisce si dà la colpa e si vergogna: individuiamo il problema in noi stessi, piuttosto che nella società».
Byung-Chul Han
Ahh come godo! Finalmente un po’ di gloria italica vera.
Come godo per Fleximan voi non lo potete capire, mi sento come di fronte a una nuova forma di Resistenza. Se qualcuno non sa di cosa stia parlando ecco una spiegazione:
Sono quasi una decina gli autovelox abbattuti in tutto il Nord e il fenomeno sta cominciando a replicarsi spontaneamente (adesso mentre scrivo leggo che pure a Cremona hanno abbattuto un velox). Non si sa chi compia il gesto, non importa. Fleximan non è nemmeno una persona fisica è un’idea, ha degli epigoni come in Batman.
Batman va a colmare un vuoto che lo Stato non riesce a colmare. Lo Stato è vecchio, lento, burocratico e corrotto e Batman è veloce, moderno e giusto.
Gli autovelox sono una forma di racket nella maggior parte dei casi usati dai comuni solo per fare cassa, un’inculata legalizzata (dallo Stato, cit) sotto gli occhi di tutti. Ci sono state interrogazioni parlamentari per fermare il fenomeno delle multe selvagge ma non c’è niente da fare, la macchina burocratica è fatta per fotterci. Le cose non cambiano? Finalmente un vagito ribelle, qualcosa che somiglia vagamente alla coscienza civile, niente più retoriche e prediche sui conflitti e la geopolitica di cui non sa niente nessuno solo Dario Fabbri, niente più messe di valori recitate da funzionari laici, comunisti, destrorsi e “isti” vari. Un po’ di sana realtà: gente che sega gli autovelox.
FLEXIMAN: Trattasi di puro Fight Club, un’operazione talmente contro e figa di cui dovremmo sentire cantare le gesta. Altro che le manifestazioni, le piazze, gli status. Altro che i Club Dogo che paiono dei rincoglioniti e son convinti di essere dei rivoluzionari (diomio che imbarazzo la copertina con la panetta di bamba). Gli intellettuali c’hanno paura di sporcarsi l’aura social a dire che Fleximan è Batman, figuratevi un Saviano o un Agamben che ne parlano (di che cazzo parla mai Agamben porco mondo?).
Ne avessi visto dei miti Instagram, uno che dedica un tweet a Fleximan, eppure c’ho gente che mi redarguisce dallo scrivere o trattare di qualsiasi cosa non sia la guerra tra Israele e Palestina, gente convinta di cambiare il mondo con un post.
Vestiti di nero, nella notte, questi eroi sociali (e non social) vanno ad abbattere gli occhi elettronici e riscattano tutti i poveri cristi che hanno preso delle multe ingiuste, per cui sono costretti a fare spesso dei lavori infami e sottopagati che servono poi a pagarle.
stacco
Non si può certo dire che la signora ristoratrice che si è tolta la vita è stata uccisa dal Selvaggia Lucarelli o dal Tg3, o dai media, ma una bottarella le è stata sicuramente data dallo shitstorm che ha subito.
Finire in pasto al paese intero con l’accusa di aver detto una balla è qualcosa che non tutti sono in grado di reggere. Premesso che: anche meno! pure se avesse detto una balla, ma chi se ne frega? Ma che notizia è?
Quando è che siete diventati tutti manettari e moralisti? In un mondo dove le recensioni online fanno la differenza, mi dite che peccato sarà mai quello di una ristoratrice che se ne inventa una? Merita i toni sprezzanti di uno che nella vita fa il fidanzato di Selvaggia Lucarelli e poi della Lucarelli stessa? No, nessuno li merita, nemmeno se colpevole.
Selvaggia Esiste solo in quanto parla male di qualcuno o qualcosa. È una sorta di autovelox umano per chi commette qualche tipo di effrazione morale che non è contemplata dai un canone: il suo.
Forte delle decine di migliaia di seguaci che ha, di volta in volta sceglie una vittima su cui accanirsi e la tartassa. Che siano i tassisti, un ragazzo a cui uno squalo ha mangiato una gamba, gente di spettacolo, il suo essere famosa è dovuto solo al fatto che litiga con gli altri. Mette sotto accusa gli altri modelli di giornalismo, ci tiene a differenziarsi (un po’ schifata) da Le Iene, ma non si capisce da che pulpito faccia la predica visto che non mi pare Montanelli.
Poi è un po’ paracula, dice: ho solo detto la verità, ho fatto debunking.
Ao’ ma chi volete prendere in giro? Ma che debunking, o non sei al fronte e di lavoro fai la giudice a Ballando con le stelle, dai.
Quando parla Selvaggia è forte di una fanbase servile e canide che si scaglia ciecamente fedele a finire l’attacco da lei lanciato, dando vita a quella che poi è l’effettiva gogna mediatica. Oh, non ricordo di ondate d’amore lanciate da Selvaggia, ma sempre e solo di queste sassaiole.
Se pensi male vivi male, se parli male diventi Male.
Senza questi dissing continui, Selvaggia non avrebbe altro da proporre e sparirebbe dalle scene per cui la sua carriera è costellata dalla ricerca di nemici contro cui combattere. Nessuno l’ha mai sentita proporre un pensiero, un’idea che non fosse una polemica. Scrive Libero: mai un sorriso, piuttosto un ghigno.
L’etimologia del suo account X, dice tutto del suo sistema di pensiero: @stanzaselvaggia. Esattamente il setting, l’habitat, in cui Selvaggia opera. Un posto chiuso dove le prede sono mute e lei si può lasciare andare alla brutalità. Ma che poi è il modo in cui operano la maggior parte degli opininisti e i famosi (da Fedez a Brumotti passando per Saviano e Salvini), di destra e sinistra, pro e contro. Son tutte battaglie uno contro tutti: non c’è mai un dialogo a due in cui si duella.
Selvaggia non leggerà il mio pezzo o se lo leggerà farà finta di niente. Al massimo potrebbe querelarmi o bannarmi come fa con tutti ma non credo di aver fatto altro che esprimere un’opinione lecita e oltretutto largamente condivisa. Però mi sconvolge molto che una testata giornalistica la voglia nel suo team, io sarei in imbarazzo. Il Fatto Quotidiano di Travaglio, un giornale che vuole anche essere un esempio virtuoso di ricerca della verità, tiene nella sua redazione una che ha una sola verità: se stessa. A tutti piacciono i giornalisti “scomodi”, quelli che fanno le inchieste, che domandano, che non guardano in faccia a nessuno. I giornasti appunto, mica lei.
Da Super pizza, sulla via per la Selva
20,13 sabato sera cinema, da solo
nemmeno troppo male
pizzaiolo tatuato sopraccigliato abbronzato
capello rasato di lato
e lei: bocca canotto, piercing al naso, fondotinta di livello
in sto localino spoglio
con accesa una luce al neon che andrebbe vietata per decreto
essi paiono attraversati da pochi problemi.
Sul muro una lavagnetta, su cui è scritto:
”Il segreto della pizza è l’acqua
Il segreto della pizza è il pomodoro
Il segreto della pizza è la forma
Il segreto della pizza è… un segreto”
arriva una che chiamano entrambi: mamma
sembra una escort
fuori a porta aperta fuma un giovanottino rinvecchiato
Piumino mimetico con pelliccia ed Esta The in latta, fuma e cicca a terra
Scatizza di nervi pare pippato.
I dialoghi sono vuoti
eppure in loro deve esserci vita
“Peperoncino e aglio, spacca”
La mamma ha il turbo, un bel culino,
sarà sui 60, in tuta, fa figura
Va via con loro che la accompagnano estasiati con gli occhi, li vedo…
Lui guarda il culo di mamma e dice: da dietro siete uguali
Lei ci gode, poi si danno un bacino felice
Cristo santo, anche i più svitati sembrano ok
Se paragonati a me. Perché?
(continua sabato prossimo…)
Mi ricordo Lorenzo di Guzzanti all’esame di maturità: FILOFIA! LA SO! GALILEI GALILEI GALILEI!
Non ho fatto filosofia all’uni perché sostanzialmente mi affaticava capirci qualcosa. Bello eh il linguaggio dei filosofi, ma iper tecnico. Dieci pagine di citazione di un’opera minore di Hegel, ma chi l’ha mai letto Hegel? Mavaffanculo Hegel. Una prosa insostenibile, priva di ritmo nella maggior parte dei casi. Poi un dizionario a parte, del tutto diverso dalla lingua comune, la filosofia è considerata da Marquez una branca della letteratura fantastica.
Poi arriva Byung-Chul Han, che magari ai filosofi veri non piace proprio perché è scritto semplice, for dummies, e le cose cambiano. Comincio finalmente a leggere qualcosa di comprensibile che parla della MIA vita, del MIO tempo, della MIA generazione e finalmente mi sento capito.
Oltretutto in Byung-Chul c’è la critica al presente si, ma anche una visione alternativa dell’esistenza, un aderire a dei principi che istintivamente sai che sono giusti ma socialmente non accettati.
Tipo lo sappiamo che lavoriamo tutti troppo e che ormai misuriamo la vita in performance ma facciamo finta che sia normale perché lo fanno tutti. Ecco, è una cazzata. Bisogna tirare il freno quando si è stanchi e oziare, perdere tempo, strafottersene. Di questo parla (molto meglio) Vita Contemplativa, pubblicato dai soliti grandi di Nottetempo.
Un mio amico mi scrive: scrittore considerato ormai fighetto. Per me è uno scrittore figo invece, il fatto che abbia molti lettori è la conseguenza dell’efficacia del suo pensiero.
Ecco un cut-up di estratti dal primo capitolo:
***
Visto che ormai percepiamo la vita solo in termini di lavoro e prestazione, per noi l’inazione è una carenza a cui porre rimedio il prima possibile.
L’esistenza umana è assorbita senza sosta dall’attività.
L’inazione non è una debolezza, una mancanza, bensì un’intensità che però non viene nè percepita nè conosciuta nella nostra società della prestazione.
Al tempo libero mancano sia l’intensità vitale, sia la contemplazione. È un tempo che ammazziamo affinché non emerga la noia. Non è un tempo davvero libero e vito ma piuttosto un tempo morto.
Se ci viene a mancare l’inazione come possibilità finiamo per sembrare una macchina che deve solo funzionare. La vita vera inizia nel momento in cui cessa la preoccupazione per la sopravvivenza.
La vera felicità si deve a ciò che è inutile e senza scopo, alle belle forme e ai bei gesti che a nulla servono e non adempiono alcuna finalità.
Ormai anche il sonno viene considerato un’attività. Il cosidetto power nap rappresenta una forma attiva di sonno.
Se oggi una rivoluzione pare impossibile allora forse il motivo risiede anche nel fatto che non abbiamo più tempo per pensare.
Storditi dall’ebbrezza informativa e comunicativa non facciamo che allontanarci dalla poesia in quanto contemplazione della lingua, e iniziamo persino a odiarla.
Il baccano contemplativo distrugge il silenzio e sottrae alla lingua la sua capacità contemplativa.
Gli individui che si illudono liberi sono in realtà genitali del capitale, utili solo a riprodurlo.
Estratto da Perché oggi è impossibile una rivoluzione
di Byung-Chul Han (Nottetempo)
Come mai il sistema di dominio neoliberista è così stabile? Come mai ci sono così pochi fenomeni di resistenza? E come mai questi si traducono tutti, ben presto, in un nulla di fatto? Come mai oggi non è più possibile una rivoluzione nonostante la forbice tra i poveri e i ricchi diventi sempre più grande? Per spiegarlo bisogna capire con esattezza come funzionano, oggigiorno, il potere e il dominio.
(...) Gli operai delle fabbriche venivano sfruttati senza pietà dai padroni e lo sfruttamento brutale condusse a proteste e resistenze. Allora sì che era possibile una rivoluzione capace di rovesciare i rapporti di produzione vigenti. In quel sistema repressivo erano visibili sia l’oppressione, sia gli oppressori. Esisteva una controparte concreta, un avversario visibile cui opporre resistenza. Il sistema di dominio neoliberista è strutturato in maniera profondamente diversa. Il potere stabilizzante non è più repressivo, bensì seduttivo, e non è più così visibile come sotto il regime disciplinare. Non c’è una controparte evidente, non c’è un nemico che opprime la libertà e contro cui sarebbe possibile opporre resistenza.
Il neoliberismo ha modellato, a partire dall’operaio oppresso, un libero imprenditore – un imprenditore di se stesso. Oggi, ciascuno è un operaio che si sfrutta da solo, un dipendente di se stesso. Ciascuno è al contempo servo e padrone, per cui la lotta di classe si è trasformata in una lotta interiore. Chi oggi fallisce si dà la colpa e si vergogna: individuiamo il problema in noi stessi, piuttosto che nella società.
Il potere disciplinare che con grande dispendio di energie costringe le persone in un corsetto di comandamenti e divieti è, a ben vedere, inefficiente. Molto più efficace, invece, la tecnica di potere che fa sì che le persone si sottomettano volontariamente. Tale efficacia si fonda sul fatto che il potere qui non funziona mediante divieti e restrizioni, bensì facendo leva sul piacere e sulla soddisfazione dei desideri. Anziché renderle remissive, cerca di rendere le persone dipendenti. Tale logica di efficienza neoliberista vale anche per la sorveglianza. Negli anni Ottanta ci sono state forti proteste contro il censimento, persino gli studenti sono scesi in piazza. Dall’ottica odierna, le informazioni tipiche di un censimento – come il mestiere, il livello di studio o la distanza dal posto di lavoro – sembrano quasi ridicole. Quelli erano anni in cui si credeva di dover opporre resistenza allo Stato inteso come autorità repressiva che puntava a strappare informazioni ai cittadini contro il loro volere. Oggi ci denudiamo volontariamente.
È proprio questo senso di libertà a rendere impossibile la protesta. Al contrario dell’epoca dei censimenti, oggi protestiamo pochissimo contro la sorveglianza.
Questo denudamento, questo volontario passarsi ai raggi x, segue la medesima logica di efficacia dell’autosfruttamento. Protestare contro cosa? Contro se stessi?
Il potere che salvaguarda il sistema assume oggi una forma affabile, “smart”, rendendosi invisibile e inattaccabile. Il soggetto sottomesso non sa nemmeno di esserlo, e anzi crede di essere libero. Questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima. Le forme di dominio che sottomettono e attaccano la libertà, al contrario, non sono stabili. Il regime neoliberista è stabile proprio perché si immunizza contro qualsiasi resistenza e usa la libertà invece di opprimerla. L’oppressione della libertà suscita ben presto resistenza. Lo sfruttamento della libertà no.
Nell’epoca odierna non esiste una moltitudine collaborativa e interconnessa in grado di elevarsi a protesta globale, a massa dedita alla rivoluzione. È, piuttosto, la solitudine a caratterizzare l’attuale regime produttivo di isolati imprenditori di se stessi. A suo tempo, gli imprenditori erano in concorrenza gli uni con gli altri, mentre all’interno dell’azienda era possibile la solidarietà. Oggi la concorrenza è ovunque, anche all’interno della medesima ditta. La concorrenza universale aumenta senza dubbio la produttività a livelli spaventosi, ma distrugge la solidarietà e il senso di comunità, giacché non può nascere una massa dedita alla rivoluzione mettendo insieme individui esausti, depressi e isolati.
Oggigiorno ci buttiamo con euforia nel lavoro, fino al burnout – e infatti il primo stadio della sindrome da burnout è proprio l’euforia. Burnout e rivoluzione si escludono a vicenda, quindi è erroneo credere che la moltitudine possa scalzare l’impero parassitario, instaurando al suo posto una società comunista. Come siamo messi oggi col comunismo? In ogni dove si evocano community e condivisione. La sharing economy dovrebbe sostituire l’economia della proprietà: “Sharing is caring”, recita la massima dei circlers nel Cerchio di Dave Eggers (...) n realtà il motto principe dovrebbe essere “sharing is killing”.
La sharing economy conduce a una commercializzazione totale della vita.
Il passaggio dal possesso all’“accesso”, tanto celebrato da Rifkin, non ci libera dal capitalismo. Chi non ha soldi, non ha nemmeno accesso allo sharing. Anche nell’era dell’accesso continuiamo a vivere in un panottico esclusivo, che taglia fuori chi è senza soldi. Airbnb, il mercato immobiliare comunitario che trasforma qualsiasi abitazione in un hotel, arriva a sfruttare economicamente persino l’ospitalità. L’ideologia della community o del wiki collaborativo porta a una capitalizzazione totale della comunità.
In una società in cui ci si recensisce a vicenda, anche l’amicizia finisce commercializzata. Ci si comporta in maniera amichevole per ottenere recensioni migliori.
Il capitalismo raggiunge il suo culmine nel momento stesso in cui vende il comunismo come se fosse una merce. Il comunismo come merce: questa sì che è la fine della rivoluzione.
Dovete comprare dei libri impossibili, anche inutili. Sticazzi. Spendete i soldi per cose belle e basta. Più sono fuori di testa o anche fuori portata, più di solito sono i libri adatti.
Su questo c’ho fatto un reel di 5 minuti. Lettere d’amore di Montale, Kafka, Colette, Joyce… uno spettacolo. Anche i più grandi geni sono dei sottoni. Sparatevi il reel.
Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.