BENGALA #122 - COME USCIREMO DA QUESTO MARE DI M**DA PULITI E PROFUMATI?
Speciale Berté - ITA'94 - Freak Antoni - Patafisica
«Come faremo ad uscire da
Questo fiume di merda puliti e profumati?
Pagheremo il conto che c'è da pagare?
Ma io non ho speranza io ho fede».
(Massimo Volume)
Io sono un uomo pieno di fede perché ho perso ogni speranza, mi ritengo lucido. Tutto ciò non mi abbatte: la storia dell’umanità è una storia di soprusi di classi sociali su altre. Perché stia bene l’1% degli stronzi di questo pianeta è necessario che gli altri soffrano e facciano una vita di stenti. Il sistema è congegnato per proteggere questa minoranza. Gli egizi avevano schiavi che costruivano le piramidi, il capitalismo ha noi. Dobbiamo essere consapevoli di questa condizione di svantaggio e creare il nostro piccolo rifugio interiore di felicità. Chi può si innamori, faccia lo stupido coi suoi amici, si ricordi avere un bambino dentro, non diventi grigio. La vera vittoria non è la rivoluzione che sfascia le vetrine e spara ai politici, ma vivere una vita soddisfacente nonostante loro. The government, they don’t they don’t speak for us.
Sono pieno di fede perché sono straconvinto che la politica non farà mai niente per noi, che le cose non miglioreranno, ma tuttavia non demordo. Il suicidio non è contemplato in quanto la lotta che si gioca qui è una lotta di trincea, di posizione. Sto nel mio buco anche se fai di tutto per schiacciarmi e la mia vittoria è un sorriso interiore che tu non potrai mai avere. Guardali in faccia i potenti, da Putin a Trump, sono tra i casi umani più abissali del mondo, degli infelici, hanno gli occhi vuoti, la pelle gialla. Stanno marcendo.
I media fanno cagare, quasi interamente. Essere indipendenti e avere un editore è impossibile. Fottuti giornali e trasmissioni tv parlano di quell’androide di Mark Zuckerberg come un grande imprenditore e i figli degli stimati professionisti che realizzano i servizi, così come i figli ciccioni dei contrabbandieri semianalfabeti, passano ore a inquinarsi gli occhi scrollando i feed di zoccole e depravati convinti di assistere a uno spettacolo gratuito mentre pagano il biglietto più caro della loro vita cedendo ogni privacy, facendosi tracciare, diventando target di mercato. Nessun giornale parla mai dei social come strumento di vendita, i danni fatti dalla tv in confronto sono roba per signore. Goebbels nei suoi studi sulla propaganda aveva già tracciato la direzione. Burroughs ne Il Pasto nudo spara: «uno stato di polizia funzionante non ha bisogno della polizia». Oppure: «beh se attacca i cani, con buona probabilità attaccherà anche i cani umani, proprio nel loro sgradevole, ringhioso, strisciante epicentro ama-poliziotti, ama-preti, ama-padrone, ama-Dopo, quegli abietti adoratori degli Dei Schiavi». (Strade Morte).
Assembramenti di analfabeti funzionali cercano nuove mitologie nel secolo della scienza scema senza misticismo e si rifugiano in grotte di scontento. Incapaci di rivoluzioni scorreggiano ammutinamenti che si manifestano in piccoli atti che sarebbero dadaisti se non fossero idioti, come la signora di Roe Volciano che al posto della patente esibisce un tesserino firmato con il sangue. Si ritiene “un’entità”, un essere libero che disconosce lo Stato e le tasse (e farebbe bene se poi non finisse a intasarne i gangli) e si sente autorizzata a non pagare multe. Gente del genere esiste grazie a qualche privato come Mark Zuckerberg e tutti gli altri mostri dei social network.
Io non ho speranza, io ho fede, cantavano i Massimo Volume. Sono contento del mio cazzo e di poterlo usare, sono contento di scrivere, sono contento di voler vivere, vaffanculo Repubblica, Borgonovo e tutti i dipendenti presi male del sistema, i canetti da passeggio degli editori, veicolatori tipo testimoni di Geova di fedi mosce, di ideologismi fiacchi. Sono fiacchi anche loro con le loro giacchettine blu e le facce da anatre. Borgonovo mangiami la minchia. Gramellini pure te, Mentana mettiti in coda. Sucate papere!
Lo Shangri-La nella mia mente è in terra, in delle isole anarchiche prive di serietà, prive di dogma, non infestate dalla peste del poletichese e dell’ideologia, ogni stronzo che vuole combattere il Sistema è mio nemico perché già riconoscendolo il Sistema si rafforza: lo devi ignorare. Ogni rivoluzionario è stupido e utopico e spreca i pochi giorni terrestri che ha nell’accumulare rabbia che diventerà sfoghi sulla pelle, somatizzazione, malanno cronico. L’unico rivoluzionario accettato qui è il poeta, che chiaramente non scrive le parole ma i gesti, la realtà. Non è Arminio, non è Candiani, non è se non per qualche eccezione un pubblicante, ma il barista anonimo che ti fa il sorriso, il milite che ti sfanala eroico per avvisarti della pattuglia, quello che ti tiene il posto in coda.
Nella massa di dannati senza senno che infesta il mondo, si riconoscono facilmente quelle piccole risacche di gioia che sono alcuni uomini e donne. Solo di loro ci deve importare in questa fase.
Eccovi in Bengala.
CUT UP TRATTO DA CINQUANTAMILA.IT
Nasce a Bagnara Calabra (Reggio Calabria) il 20 settembre 1950. Cantante. «Quando mio padre se ne andò di casa io dissi: “Speriamo che se ne vada anche mia madre”».
Esordio nel 1967, assieme a Renato Zero nel corpo di ballo del Piper di Roma. Il grande successo arrivò nel 1975 con Sei bellissima, brano censurato dalla Rai per i testi all’epoca giudicati troppo spregiudicati. Nel 1979 altro enorme successo con E la luna bussò, seguita da Non sono una signora (1982) e Il mare in inverno (1983) di Enrico Ruggeri.
Nell’86 si presentò al Festival di Sanremo con un pancione finto che provocò molte polemiche. Nell’89 sposò il tennista Bjorn Borg: divorziarono nel 1992 dopo un tentato suicidio a testa: «Era miliardario ma non mi pagava nemmeno l’aereo per i nostri incontri. Ho sbagliato ad abbandonare per sei anni il mio lavoro per amore di Björn, che non mi ha nemmeno permesso di fare un figlio»
«Fin dal primo disco, nel 1972, ero considerata ribelle. Già allora dicevo le parolacce e mi facevo fotografare a tette nude. La gente sa che non sono un bluff. Il rock è un modello di vita, non è solo suoni».
Fino a diciott’anni non ha mai dato un bacio a nessuno, poi alla fine degli anni Sessanta, a Torino, viene violentata «da un figlio di puttana. Un miliardario che commerciava in formaggi e andava in giro in Ferrari. Mi ridusse un cencio […]. Non volli più guardare gli uomini, non ne volli più sapere niente. Per quattro lunghi anni» Dopo inizia una lunga serie di fidanzati usa e getta, tra loro anche Luca Cordero di Montezemolo (le farà fare un letto a forma di Ferrari per il figlio di Borg) e Paul Getty Jr. (lo aiuterà a inscenare il finto rapimento che creò il clima adatto a realizzare quello vero) • Con Adriano Panatta una relazione più duratura: «Era speciale. Mi divertiva. Rispetto ai suoi colleghi era un alieno. Una sera a Parigi mi ha detto: “Amo’, devo tirare due pallate a ’sto ragazzino svedese, faccio in fretta così poi andiamo a cena”. Il ragazzino era Björn Borg e quella sera mi avrebbe cambiato la vita».
«Il primo marito, Robert Berger, ho scoperto che era miliardario dopo averlo sposato. Ma come? Per anni avevo pagato tutto io… Allora l’ho preso a calci. Io meno, hai capito? A Borg gli ho dato un fracco de botte».
«Borg era pazzo. Aveva in casa tre pistole e ci giocava puntandomele alla tempia. Una volta premette il grilletto. E poi mi disse che era carica. Io gli dissi: “Ma sei scemo?” e gli detti una scarica di botte. Io non è che ho provato la droga. Ho vissuto con uno come Bjorn Borg che era un aspirapolvere. Di droga ne viaggiavano dosi industriali. Quando eravamo all’estero, non quando stavamo in Italia. Vivevamo in un contesto nel quale questo tipo di trasgressione era normalissimo. Io in quel periodo non facevo la rock star, facevo la moglie. Era una cosa da ricca borghese. La pagava lui la roba. Io non avevo una lira per comprarla». «Quando arrivavamo in Svezia i giornali scrivevano: “Bentornato Bjorn. Purtroppo c’è Loredana”. Il re, ufficiosamente, mi diceva: “Sto dalla parte tua”. E io non capivo. Quale parte? Come Bush. Quando andammo alla Casa Bianca mi misero un sacco di guardie del corpo attorno. Chissà, forse avevano paura che mi spogliassi improvvisamente. Io avevo le mie borsettine a forma di orsetti che ricordavano un po’ Cicciolina. Bush che doveva essere un grande consumatore di film di Cicciolina, mi disse anche lui: “Sto dalla parte tua”. E io dicevo: “Perché mi dice così?”».
Nei primi anni Ottanta scorrazza per le vie di Madrid con il suo amico Miguel Bosè («stavamo sempre insieme. Lo proteggevo dalle ragazzine»), conosce Michael Jackson («mi ha regalato un giubbotto che ho ancora»), Billy Idol (le si piazza davanti alla porta della stanza con la pretesa di scattarle una foto con le mani sul culo), Mick Jagger (insieme abbiamo anche visto il derby Flamengo e Vasco da Gama a Rio»). Parla di moda con Tina Turner a Riva del Garda, inaugura i negozi di Elio Fiorucci in mezzo mondo e a un concerto di Djavan dà il la a Luciano Benetton per la United colors of Benetton («Guardando la folla felice ebbi un’illuminazione: “Ci pensi, Luciano? Uno è indiano, l’’altro cinese, l’altro afroamericano e sono qui tutti insieme”. Benetton si rianimò: “Ma lo sai che mi hai dato un’idea della madonna?”») • Nel 1989 sposa il tennista Bjorn Borg e in pratica sparisce dalle scene. Si lasciano nel 1992 dopo un tentato suicidio a testa • «“Torno in Italia, a Milano. Daniela Zuccoli, la moglie di Mike Bongiorno, mi affitta casa sua. Fa schifo, gliela ristrutturo completamente, faccio la cucina all’ingresso, entravi in casa e c’era il frigo. Ricordo la festa di inaugurazione. Venne anche Craxi che lasciò la pistola nel forno”. Perché nel forno? “Era un Frost, mai capito come funzionasse, lo usavo come cassetto”»
Ha poi raccontato a Le invasioni barbariche di aver visto Bin Laden quando era ospite alla Casa Bianca insieme a Borg: «Non è un segreto. I Bin Laden erano petrolieri» (Alessandra Menzani) [Lib 25/9/2010].
«Gli svedesi sono razzisti. Dopo quattro anni di matrimonio io ho detto: lo vogliamo fare un figlio? Io ho fatto solo dischi nella vita, vorrei fare anche qualcosa di più serio. E la madre mi rispose: un figlio italiano? Mai. Disse: tu un figlio da Bjorn non lo avrai mai perché Bjorn deve avere solo figli svedesi».
«Mi obbligava a continue prestazioni. Ho vinto 5 volte a Wimbledon ma a letto non sono riuscito a batterla» (Borg)
Fama di eccentrica confermata dagli episodi che l’hanno vista protagonista prima all’hotel Aldrovandi Palace di Roma, dove il 27 ottobre 2007, dopo essere stata ospite di Antonella Clerici nel programma Il treno dei desideri, si chiuse in camera pretendendo e ottenendo che Pippo Baudo venisse a ritirare personalmente testo e musica della canzone preparata per il Festival di Sanremo.
Esclusa dalla competizione, alla Bertè, che si dispera e proclama, creduta, la propria buona fede, viene comunque consegnato il premio della critica che nel 1982 sua sorella Mia Martini non poté ritirare, oltre al premio speciale Città di Sanremo alla carriera.
Appare ormai pochissimo in tv, sempre più chiusa e scontrosa: «La tv mi ingrassava cinque chili già prima ma ora il maledetto 16/9 mi abbassa, mi allarga e mi fa sembrare una valigia. (…) I fan mi hanno rotto le palle. Sono invadenti. Chiamano a casa, hanno il mio numero. Il problema è che chiamano con l’anonimo e non riesco a richiamarli per mandarli aff...».
La chiamano «la Sofia Loren del nostro rock»: «Qualche ritocco qua e là l’ho fatto anch’io. Con la menopausa le tette erano diventate enormi, e allora zac! E poi qui (si accarezza il ventre, ora piatto), e qui (alza la mini, le gambe sono perfette come ai tempi di Streaking, il disco-scandalo del 74 in cui era nuda in copertina). Ecco perché il mio amico chirurgo plastico ha la sua brava fotina nel disco. Però io non vado mica da Harrod’s ad autografare i miei libri di cucina scortata da guardie del corpo».
«C’è qualcosa che le fa paura? “Il buio. Dormo sempre con una lucina accesa”»
Continua il racconto nel passato che porto avanti con italianibravagente di Mirko Cavallaro.
Nella prima puntata vi abbiamo fatto rivivere la discesa in campo di Silvio, in questo secondo episodio andiamo a Sanremo di trent’anni fa. Domanda: erano le canzoni ad essere migliori, o eravamo noi?
Ormai vago nel passato da settimane, comincio a sentire un po ' nostalgia di casa. Cerco di perdermi nelle notizie, è un momento pessimo, trent’anni fa come oggi. Le cronache non possono essere vere: Su Repubblica raccontano anche di una protesta dei contrabbandieri di Napoli contro i controlli della finanza. Dove abbiamo perduto tutto quel carattere?
Poi c’erano i soliti casini, dagli arresti dei politici (Paolo Berlusconi ai domiciliari per tangenti), Craxi alle strette, le bombe sui civili a Sarajevo a due passi da casa che sembra di sentire i tuoini dentro ma comunque una cosa non cambia mai: Sanremo. Già il passato è una comfort zone, figuriamoci con Sanremo che dopo il Natale è la festa laica più importante, quella che ancora ci inchioda tutti, quella che vorremmo scampare ma che tanto ci toccherà sempre.
La sera della prima sono in salotto con la famiglia: solo le donne lo guardano. Niente divani con la chaise longue, niente poltrone e sofà gli artigiani della qualità, ma sedute abbastanza rigide e merletti. L’arredo è prevalentemente marrone. Una Viennetta Algida aperta al centro della tavola si sta sciogliendo, no gelato artigianale. Ma perché diavolo ogni singolo oggetto era appoggiato su un ricamo all’uncinetto? La zuppiera al centro della tavola era piena di frutta. Nonna sbuccia una pera e sbuffa: è acerba. Per forza, non è stagione.
Mi sa che il biologico non era ancora in voga.
Il marito e il nonno giocano a carte sullo sfondo (a carte? ma è legale in presenza dei bambini?) e chiaramente tutti fumano.
Prima cosa che noto: tutto sotto tono. Pochi discorsi tra un cantante e l’altro, non ci sono big, sono tutti uguali. La scenografia sembra quella di un set in una nave da crociera: semplice. La scalinata è alta circa un terzo rispetto a oggi, non è quella rampa sacra che mette a prova lo stacco di coscia delle cantanti. Il presentatore pare il centro di tutto e infatti è Pippo Baudo, il Giulio Andreotti della tv italiana. Lo sapevate che quello della canzone di Zucchero era proprio lui? Erano amici, eppure Pippo ha provato a fregargli la moglie. Lo avreste mai detto di Pippo Baudo che era un marpione? Eppure era una sorta di eroe nazionale, un’istituzione. L’anno prima sul palco aveva avuto Cavallo Pazzo che gridava “il festival è truccato”, l’anno dopo avrà un tizio di cui eviterà il suicidio tramite lancio dalla balconata.
Accanto a Pippo c’erano Anna Oxa prima che diventasse una terrapiattista e Cannelle, famosa per lo spot delle Morositas, che oggi sarebbe ritenuto razzista e discriminatorio. Una “neretta” che fa lo spot di una caramella colorata di nero. Molto poco inclusivo.
«Ohimmene che lagne. Questo qui, Zarrillo, pare più depresso di Masini».
«Quest’anno vince il cieco».
«Tanto lo sanno già chi vince, è tutto truccato, come tutto in questo Paese. Ormai non si salva nessuno».
I discorsi salgono nell’aria assieme al fumo delle sigarette mentre sorvolo il tavolo col panno verde.
Ci sono io bambino, ho dodici anni e l’apparecchio. I capelli a spazzola e la faccia da tonno, ho i brividi mentre sento Signor Tenente. Sembra scritta da Pasolini invece è di un ex comico che poi diventerà uno dei più venduti giallisti italiani; dedicata ai caduti delle scorte di Falcone e Borsellino, i suoi versi suonano attualissimi, oggi come ieri: «E siamo stanchi di sopportare/ Quel che succede in questo paese/ Dove ci tocca farci ammazzare/ Per poco più d'un milione al mese». Arriviverà secondo. Ma in scaletta ci son delle mine.
È l’anno del cigno di un certo filone della musica italiana, il mondo è in un apice di cambiamento. Le classifiche saranno piene di Nirvana, Ace of Base, Oasis, suoni elettronici e pop che a Sanremo sono banditi. Un anno magico. Jovanotti che dominerà le vendite con Lorenzo 1994, non sarà infatti su quel palco, impegnato a diventare il volto nuovo di un cantautorato pop e di sinistra. Nemmeno Al Bano a questo festival verrà, chiederà il silenzio stampa troppo distrutto dalla sparizione di sua figlia. Non la troveranno mai. Ospiti internazionali: Jamiroquai, Enigma, Elton John e Take That.
Eppure c’è un episodio che è i prodromi dell’inclusività.
«Una nera a presentare e tutti i ciechi a cantare. Il festival dell’INPS pare»
Il Nonno ride col sigaro in bocca e la pelata luccicante e imbrillantinata. In effetti oltre a Baldi e la Minetti ci sarà anche l’esordio tra le nuove proposte di Bocelli. Uno destinato a restare, come Giorgia e Irene Grandi. Vincitore: Baldi, con Passerà. Terza: La Pausini con Strani Amori che forse darà il la per il nome alla trasmissione di Castagna che inizierà pochi mesi dopo.
È un Festival senza politica, senza discorsi strani, senza nemmeno troppa retorica. Il Califfo arriva ultimo in classifica e Jannacci con Paolo Rossi fanno dei numeri pazzeschi con I soliti accordi. Fa ridere che la gente salga sul palco vestita come per andare in trattoria, con una giacchetta e i capelli arruffati, senza stylist, senza brand, senza hype. Non ce lo vedi il presidente della Repubblica che va in platea al festival della canzonetta. Eppure le canzoni son rimaste. Loredana Bertè è devastante, con un vestito nero canta: È opinione generale
Quella che non so cantare/ E che vesto sempre male/ Per la stampa nazionale
Mi suicido per campare/ Come sponsor l'ospedale/ Amici non ne ho. Ivan Graziani anticipa gli hater di 30 anni: «così la gente vede il male anche dove non ce n’è», canta ne Le malelingue.
Meno culi di fuori, protagonismo più silenzioso, non che non ci fosse eh, ma mostrarlo troppo era da vanitosi. A guardare il Festival del 94 non si capisce se erano quei tempi a essere migliori, oppure noi.
Freak è morto, evviva Freak.
Il 12 febbraio al Bellezza di Milano una serata in onore del genio degli Skiantos. Chi poteva organizzarla? Il suo erede naturale mr. Auroro Borealo.
Prenotatevi qui.
Libri inutili e per questo fondamentali. Di questo titolo non sapevo niente e ho chiesto una copia all’editore che gentilmente me l’ha mandato.
Si tratta di un volume degli anni ‘60 pubblicato in Francia da Jaques Carelman e arrivato in Italia grazie all'editore Mazzotta che lo divise in due volumi per facilitarne la consultazione. Attorno al 2000 Mazzotta fallisce e i libri diventano introvabili. Vanvére lo riporta in libreria sempre in due volumi, in modo che risulti di più facile consultazioni.
Gli oggetti inventati sono daliliani e dadaisti, completamente inutili e sono il classico esempio di divagazione mentale utile a creare che tutti noi facciamo ogni giorno, quando siamo in forma. Ovvero: pura patafisica. Da Wikipedia: la patafisica, definita inizialmente come la scienza delle soluzioni immaginarie dal suo creatore, lo scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry, nel libro Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico e spesso considerata come una logica dell'assurdo, uno schema metafisico eccentrico e una parodia della metafisica, ha successivamente influenzato vari scrittori, pittori, cineasti, critici, matematici e filosofi, fino ad essere considerata una vera e propria corrente artistica.
Dal sito di Vanvère: Catalogo di oggetti introvabili e tuttavia indispensabili a persone quali: acrobati, alpinisti, amici degli animali, antiquari, apicoltori, appassionati d’arte, arrotini, artisti-pittori, assaggiatori d’acqua, astronomi, attori, bagnanti, bambini ambosessi, barbabietolai, braccianti, burocrati, cacciatori, calzolai, camerieri, capomastri, disegnatori, donne delle pulizie, ecclesiastici, equilibristi, erotomani, estetiste, facchini, fachiri, falegnami, falsari, ferrivecchi, fisioterapisti, fresatori, fumatori di pipa, geometri, giardinieri, ginnasti, giocatori di carte, guardoni,guerci,hostess,illusionisti,impagliatori,impresari di pompe funebri,ingegneri elettro-acustici, innamorati…
Carelman dice di essersi ispirato ai cataloghi di vendita per corrispondenza:quindi sono stati rifatti in maniera essenziale, spartana, di facile consultazione.
Da un’intervista ad Alessandro Lapenna, traduttore:
Quanto hanno ancora da dire questi oggetti improbabili, sulle nostre esigenze di consumatori compulsivi?
Molto. Gli oggetti introvabili, dietro il loro aspetto inoffensivo, conservano una carica politica da non sottovalutare. Non va dimenticato che Carelman è anche l’autore di una famosa illustrazione dal Maggio ’68 parigino: quella del celerino in nero con lo scudo rotondo e il manganello alzato.
Ok è tutto. Ci vediamo la settimana prossima. In fondo a Bengala troverete sempre e soltanto una frase di Charles Bukowski. Sappiatelo.